EDUCARE, VERBO DELICATO

 (Margherita Zoebeli, Zurigo 1912- Rimini 1996))

 di Angelo Errani

Desidero dedicare la ricorrenza dell’otto marzo a Margherita Zoebeli. È, forse, quello di Margherita, un nome poco presente nella recente letteratura dell’educazione, come spesso avviene infatti in questo nostro tempo limitato al presente e abituato ad usare, per poi subito gettare via e dimenticare.

Ma la storia è la nostra casa: ne siamo stati accolti venendo al mondo, e vi abbiamo poi trovato la cura e le risorse materiali e culturali per riuscire a diventare quel che oggi siamo. In ogni casa, oltre al calore delle presenze, ci sono le tracce di chi ha cercato di rendere più piacevole quel luogo, segni che il pensiero, spesso tutto occupato dalla routine quotidiana, rischia di trascurare, di non saper rintracciare.

Negli anni in cui la violenza sembrava trionfare, gli anni caratterizzati dall’aggressione armata del fascismo e del nazismo agli altri paesi europei, cresceva, seppur minoritaria e clandestina, un’altra prospettiva, che aveva come riferimenti la pace e la solidarietà. Paradossalmente, l’esperienza degli orrori più tremendi contribuì, in coloro che non accettarono il silenzio e la complicità, al formarsi della consapevolezza che occorreva impegnarsi in prima persona per la realizzazione di un futuro in cui si riducesse progressivamente l’esigenza di confini riconoscendoci tutti appartenenti alla stessa umanità.

Chi era Margherita Zoebeli?

Quando, pochi giorni prima del Natale del 1945, giunse in una Rimini quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti, Margherita aveva poco più di trent’anni. Proveniva dalla Svizzera dove, giovanissima insegnante diciassettenne, aveva collaborato, su incarico del Soccorso Operaio  (organizzazione umanitaria socialista), all’organizzazione di colonie per bambini figli di disoccupati. La guerra civile spagnola la vide poi impegnata nell’organizzazione del trasferimento e dell’accoglienza in Francia di 100 bambini rimasti orfani o con genitori dispersi. In seguito all’affermarsi del nazismo, si dedicò all’organizzazione della fuga dalla Val d’Ossola alla Svizzera di bambini austriaci e italiani figli di ebrei e di perseguitati politici.

In un’intervista concessa a Raffaele Laporta Margherita così descriveva la sua esperienza:

“…là avevo compreso e sperimentato personalmente il valore del fare insieme, del coinvolgere le persone bisognose per non far loro subire la triste esperienza della carità…”

Nel 1945 venne inviata dal Soccorso Operaio Svizzero a Rimini, una delle città italiane maggiormente distrutte dai bombardamenti, e, in collaborazione con il Comune della città, curò l’edificazione di un  villaggio formato da casette di legno, inviate con un treno dalla Svizzera. Il 1° maggio del 1946  venne inaugurato il C.E.I.S. (Centro Educativo Italo Svizzero). Il villaggio di baracche comprendeva una scuola materna, una casa per bambini rimasti orfani ed un centro socio-assistenziale, a cui in seguito si aggiunsero le scuole elementari.

“ …inoltre avevamo appositi locali per laboratori artigianali allestiti per gli adulti… erano le madri dei bambini della scuola materna che venivano regolarmente a cucire da noi, realizzando con le nostre stoffe dei capi di vestiario per i bambini; lavorare assieme aiuta a concepire nuovi tipi di rapporto interpersonale… anche oggi esiste la consuetudine della collaborazione volontaria da parte di genitori e amici per lavori di vario impegno e tipologie che vanno dalla cura del giardino alla costruzione di materiale didattico, all’allestimento di strutture di gioco, alla realizzazione del Giornale del Villaggio…”

“…Si usciva da una guerra feroce per cui bisognava educare prima di tutto alla pace e alla tolleranza. Questo poteva essere fatto attraverso il vivere insieme, che responsabilizza gli individui, portandoli ad accettare gli altri anche se molto diversi; perciò la nostra scuola si è aperta fin dai primi anni ai bambini disabili, a quelli irregolari nel comportamento e a bambini stranieri nella lingua…”

L’accoglienza nelle classi comuni dei bambini che nella scuola ordinaria venivano relegati nelle classi speciali si accompagnò a riferimenti educativi altrettanto inclusivi, come la cura della disposizione degli spazi, interni ed esterni agli edifici, finalizzata all’educare alla cittadinanza attiva e responsabile.

“I padiglioni sono stati collocati sul terreno a mò di villaggio, con una piazzetta comune e una distribuzione che fa ben distinguere ogni baracca rispetto alle altre…”

Uno dei padiglioni era stato edificato per offrire una casa ai bambini orfani o con famiglie in difficoltà:

“Niente che assomigli al collegio, niente di impersonale, di autoritario, niente che ricordi l’assistenzialismo indifferente alla personalità di chi riceve… Il punto di partenza è sempre l’accettazione che fa scaturire nei bambini un senso di fiducia nell’ambiente che li accoglie. I ritmi regolari della casa, il calore umano, le amicizie che si instaurano tra i bambini e con gli adulti, diventano il tessuto di base della sicurezza e della fiducia in se stessi…”

La didattica, organizzata da sempre a tempo pieno, è guidata dall’attenzione a educare all’autonomia in un clima di collaborazione e non di competizione: i bambini vengono infatti invitati a partecipare a definire il progetto di apprendimento che li riguarda, a realizzare gli apprendimenti in gruppi di lavoro e a valutarne criticamente i risultati.

“Progettare insieme, vivere intensamente un lavoro di gruppo aiuta i bambini che hanno meno immaginazione e meno risorse… importante è anche il materiale che si utilizza per facilitare l’apprendimento; ciò che lo caratterizza è il fatto di essere manipolabile da parte di un bambino singolo o in gruppo, così da permettere un immediato controllo del pensiero… di fare da solo la verifica dell’apprendimento”.

L’integrazione di bambini disabili al C.E.I.S, che precede di parecchi anni la legge che ne consentirà la frequenza delle classi comuni della scuola italiana, costituì la testimonianza che ciò che veniva convenzionalmente ritenuto impossibile era un pregiudizio e dimostrò che una scuola inclusiva era un vantaggio per tutti.

“Iniziammo ad accogliere ragazzi con disabilità gravi, per loro si cercarono e si cercano forme organizzative che consentano un regolare contatto con la normalità della scuola: il pranzo viene consumato insieme, inoltre i bambini della scuola elementare, secondo dei ritmi che sono cambiati negli anni, danno vita a varie attività di laboratorio cui partecipano anche i compagni con disabilità grave… questa convivenza è positiva anche per gli altri: i più piccoli riescono a giocare con il compagno disabile e spesso lo attivano; i più grandi, consapevoli della gravità dei problemi vissuti  dal compagno, diventano dei veri co-educatori.”

Educare, ricordava spesso Margherita Zoebeli, è un verbo delicato. È infatti grazie alla delicatezza delle scelte, dello stile e delle metodologie educative che tanti bambini, in particolare quelli che vivono degli svantaggi, hanno avuto l’opportunità di fare un’esperienza di crescita rispettosa della loro originalità e capace di far loro sperimentare che la diversità è un dato comune a tutti e che è grazie alla diversità che possiamo imparare gli uni dagli altri. 

Il C.E.I.S ( l’Asilo Svizzero come lo chiamano a Rimini) non ha mai dimenticato di essere il frutto di un’iniziativa di solidarietà internazionale rivolta ai bambini provati da una guerra, per cui è divenuto a sua volta promotore di numerosi progetti di aiuto e di collaborazione in tanti luoghi del mondo.

Nel 1976 a Margherita venne affidata la ricostruzione di una scuola materna e la formazione delle insegnanti delle zone terremotate del Friuli Venezia Giulia.

Nel 1982 il governo del Nicaragua chiese al C.E.I.S di occuparsi della formazione degli insegnanti. Numerose collaborazioni, nate in occasione delle guerre che hanno interessato quei paesi, continuano ad essere attive, con reciproco arricchimento, in Bosnia, Ruanda, Salvador, Palestina.

Nel 1989 l’Università degli Studi di Bologna ha conferito a Margherita Zoebeli, unitamente a Paulo Freire e a Mario Lodi, la Laurea ad honorem in Pedagogia.

Margherita ci ha lasciati il 25 febbraio 1996.

 Grazie Margherita.

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