«Siamo finalmente in macchina. Ora mi dici dove dobbiamo andare?»
«Santa Maria del Soccorso!» rispose Lusa con tono trionfale.
«Così mi fai cascare le braccia.»
«Con una frase posso far cadere le braccia?»
«No, no, è solo un modo di dire, lascia perdere…» intervenni, vedendo la sua solita espressione di incomprensione.
«Partiamo?»
«Puoi darmi un’indicazione più precisa? Che strada devo prendere? In che direzione devo andare?»
«Qui» rispose, mostrandomi un foglietto.
Sul pezzo di carta era disegnata un’orribile cartina, tracciata a biro, con mano incerta. Le rette, che indicavano le diverse strade, avanzavano tremolanti sul foglio. Accanto a ogni riga, poi, una scrittura nervosa aveva indicato i nomi delle strade. Infine, una grossa freccia indicava un punto ben preciso.
«Bed & Breakfast Santa Maria del Soccorso?»
«Esatto! Ora andiamo.»
«Un momento, questo posto è dall’altra parte della città. Ci vorrà un mucchio di tempo!»
«Allora non perdiamone altro e andiamo.»
Ascoltai Lusa e partii. Mentre guidavo pensavo al B&B: se qualcuno non ce l’avesse indicato, forse non l’avremmo mai trovato. Nonostante la nuova meta, però, continuavo a nutrire i miei dubbi: avremmo davvero trovato Annalisa?
Le quattro di notte si stavano avvicinando in fretta e la stanchezza era ormai diventata nostra compagna di viaggio. Ma c’era un altro passeggero che non avevamo considerato: Sfortuna.
Proprio a metà strada, una ruota si bucò. O forse si bucò prima, non so. So solo che ce ne accorgemmo a metà strada, quando ormai si era sgonfiata del tutto.
«Che succede?» domandò Lusa. «Perché ci fermiamo?»
«Temo di saperlo…»
Scendemmo, ed entrambi vedemmo la ruota bucata e sgonfia.
«Cambiala e ripartiamo.»
«Non posso.»
«Perché?»
«Non ho la ruota di scorta.»
«Perché?»
«Perché se no mi occupa più di metà bagagliaio.»
«Perché?»
«Perché, per risparmiare, ho comprato una macchina piccola.»
«Perché?»
«Perché non ho così tanti soldi come vorrei.»
«Perché?»
«Perché lavorando come libero professionista non sempre ho lavori da fare.»
«Perché?»
«Perché… senti, basta con questi “perché”! Qui c’è un problema più grave.»
«La ruota.»
«Non solo…»
«Cioè?»
«Lo sai in che quartiere ci siamo fermati?»
«Quale?»
«Questo è il quartiere malfamato…»
«Quindi?»
«Quindi può essere pericoloso.»
«Ma qui non c’è nessuno» disse Lusa. «Tranne quelle quattro persone che si stanno avvicinando.»
Sì, Sfortuna, quella sera, viaggiava proprio insieme a noi.
Le quattro persone si avvicinavano a noi. Ero indeciso se entrare in macchina e chiudermi dentro, ma temevo di attirare troppo la loro attenzione. Temevo, inoltre, una rapina o che addirittura ci volessero riempire di botte. Non so perché, ma tendiamo sempre a immaginare il peggio, anche se non c’è nessun elemento che ci porti a pensare proprio il peggio.
Lusa, infatti, privo di aspettative com’era e com’è, attirò la loro attenzione.
«Scusate, potete darci una mano?»
In quel momento mi sentii sprofondare. Credevo di essere sulla soglia del regno dei morti, un regno di dimenticati, un regno in cui la vita è assente, in cui un essere vivente come me non aveva il diritto o il permesso di restare. Cosa ci facevo lì?, continuavo a chiedermi. Pensavo di dover scappare, di dover fuggire, ma le cose andarono molto diversamente. Spesso troviamo risposte proprio lì dove non pensiamo di trovarle.
«Bizogno?» domandò un ragazzo dal volto arrossato (forse dal freddo, o forse dall’alcol, a giudicare dal suo alito) e dai capelli biondi. «Afete bucato?»
«Sì, ma non abbiamo una ruota di scorta» rispose Lusa, parlando con estrema tranquillità, come se i due si conoscessero da sempre.
«Il faut pousser?» domandò un secondo, in francese.
Il terzo fece segno di sì.
Infine, intervenne il quarto, fino a quel momento rimasto in ombra. «Lusa? Lusa sei tu?»
«Sì, sono io. Ma tu…?»
Lusa e il ragazzo si guardarono alcuni secondi, prima di esplodere in esclamazioni di gioia.
«Come stai?» si chiesero contemporaneamente.
Mentre si scambiavano convenevoli, i tre ragazzi stranieri si unirono al coro di esclamazioni, esprimendo tutta la loro gioia o, meglio, lasciando che l’alcol si esprimesse per loro.
Io, come al solito, osservavo la scena, confuso e incredulo.
«Lusa, non capisco, che succede? Chi è questo ragazzo… chi sono questi?»
«Lui è Roberto! È stato mio vicino di casa per tanti anni, prima che traslocasse. Non lo vedo da tre anni, cinque mesi e ventidue giorni!»
«Stupefacente!» esclamai con ironia. «E gli altri, invece?»
Il ragazzo rispose al posto di Lusa: «Sono dei miei amici che sono qui a fare l’erasmus.»
Ci raccontò la sua serata di bagordi, prima di tornare a concentrarsi sul nostro problema.
«Se volete una mano, possiamo aiutarvi a spingere l’auto in un posto migliore. Più avanti, c’è un meccanico. Se lasciate l’auto lì davanti, domani mattina vi fate cambiare la ruota.»
Rassegnato, dovetti riconoscere che era la soluzione migliore.
Mentre spingevamo la macchina (e mi chiedevo come avremmo fatto a raggiungere il B&B) pensavo a quello strano incontro con vecchi compagni. La notte avvolge tutto nel mistero, distorce le forme, facendo sembrare brutto ciò che non lo è. Ma anche al buio la bellezza, seppur nascosta, c’è.
Francesco Tarud