di Alessandro D’Argento
Gli anni Novanta sono durati troppo poco.
Anzi, il mondo sarebbe dovuto finire in quella bellissima decade.
1997. Avevo quattordici anni e noi preadolescenti, senza internet o YouTube di sorta, eravamo musicalmente badantizzati dal canale televisivo MTV. Il solo scrivere queste tre lettere maiuscole mi commuove. Quegli anni sono davvero durati troppo poco, lo ripeto.
Fu proprio in uno di quei pomeriggi di sublime tedio post-scolastico che, tra le Spice Girls che scorrazzavano al St Pancras di Londra e la Gwen Stefani dei No Doubt che raccoglieva arance, comparve magicamente il faccino di Leigh Bingham Nash, la voce dei Sixpence None the Richer nel video del brano Kiss me (canzone che ricorderete tutti essere diventata poi la colonna sonora delle pomiciate di Joey e Dawson al ballo della scuola in Dawson’s Creek; una serie che – diciamola tutta – ha mandato in fumo le migliori menti della mia generazione). Ecco, appare lei nei panni di Jeanne Moreau in Jules et Jim che scorrazza per le vie di una Parigi in bianco e nero. Il video termina con un fiore che cade su una lapide che porta il nome di François Truffaut.
Quel nome e quelle sequenze imitate non mi erano affatto estranee. Poco tempo prima avevo premuto play sul videoregistratore con dentro il VHS – altre tre lettere maiuscole capaci di sciogliere il mio cuore di pietra – di Jules et Jim; mio padre lo aveva da poco acquistato in allegato a L’Unità in una collana di grandi classici del cinema. Sentivo il dovere morale di vedere tutti i film che lui portava a casa per arricchire la nostra videoteca. Pane, vinili , MTV e VHS, insomma. Così, il cognome Truffaut non era per me nuovo. Il film mi era piaciuto. Anche il brano Kiss me non era male. Bisognava ripremere quel tasto play. Cosa spingeva una cantante nel 1997 a omaggiare un regista francese?
Rivedere Jules et Jim mi catapultò in un mondo fatto di domande, profili eterei e canzonette ipnotiche. Ma chi è questo Truffaut? Chiesi a mio padre di andare in libreria e trovare un testo che potesse darmi una risposta. Ritornò con in mano Tutto il cinema di Truffaut scritto dalla grande Paola Malanga(1). Lo divorai in due giorni, e il desiderio di vedere l’intera filmografia di questo tenero regista francese fu grande. Non esisteva lo streaming e non potevo pretendere troppo da una videoteca di un paesino della provincia di Lecce. Come per miracolo, qualche settimana dopo, L’Unità dedicò una collana di VHS – lacrimuccia – alla filmografia integrale di Truffaut. Un segno. Di settimana in settimana solo visioni compulsive, con tanto di maledizioni da parte di mia madre che non voleva perdere una puntata delle repliche della Donna del mistero su Rete4.
Lì cominciò l’innamoramento. Oltre alla mappa della Terra di Mezzo di Tolkien, avevo appeso sopra il mio letto, rigorosamente copiata a mano, parte di un compito che Truffaut scrisse quando era in riformatorio:
«Ho mangiato quasi tutti i giorni, ho dormito quasi tutte le notti, secondo me non ho avuto abbastanza soddisfazioni né gioie. La guerra mi ha lasciato indifferente e lo stesso vale per i cretini che la facevano. Amo le arti e in particolare il cinema, ritengo che il lavoro sia una necessità come l’evacuazione degli escrementi e che chiunque ami il suo lavoro sappia vivere. Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica basteranno a fare la mia felicità fino alla morte, che un giorno dovrà pure arrivare e che egoisticamente temo. I miei genitori sono per me soltanto degli esseri umani, è solo il caso che fa di loro mio padre e mia madre, è per questo che per me sono degli estranei. Ecco tutta la mia avventura. Non è allegra né triste, è la vita. Non fisso a lungo il cielo perché quando i miei occhi ritornano al suolo il mondo mi sembra orribile.»
Questo scritto porta la data 21 marzo 1949. Aveva 17 anni. È un componimento che scrisse su richiesta del professore di lettere. Il tema proposto era: «Raccontate la più bella o la più triste avventura della vostra vita». Pelle d’oca. Tutte quelle parole affisse sopra il mio letto, si. Era un modo per sentirmi vicino a lui, nonostante un tumore al cervello ce lo avesse portato via nel 1984.
Da quella lettura del libro della Malanga il mio amore per lui non si è mai fermato, neanche e soprattutto adesso che collaboro alla programmazione e all’organizzazione del Cineclub Bellinzona di Bologna. Farlo rivivere sul grande schermo è l’atto d’amore più grande che io possa fare. Trascorrere ore a creare e a sincronizzare i sottotitoli dei suoi film è un’opera di catarsi che ti riporta dentro alle cartoline della tua infanzia, alle passioni della tua adolescenza e alla leggera tragicità del diventare adulti. Quanta meraviglia da condividere!
Martedì 2 ottobre proietteremo L’argent de poche, “Gli anni in tasca”, un altro capolavoro di Truffaut del 1976, un film necessario, potente. Una dichiarazione d’amore per i bambini e per il cinema; un tributo alle gioie, ai desideri, alle pene e agli stupori dell’infanzia e dell’adolescenza. È come un cerchio che, partito da I 400 colpi, si chiude con il discorso finale del maestro Richet. Sarà compito del caro amico Ivan Cipressi, proprietario della Libreria di Cinema Teatro e Musica di Bologna, altro grande innamorato del Cinema e di Truffaut, quello di spiegarci cosa c’è dietro tutto questo scorrazzare di bambini di un piccolo paese del centro della Francia. Ivan ci sta accompagnando in questo splendido viaggio nei film di Truffaut (e non solo), perché abbiamo bisogno di condividere, di gioire e commuoverci anche e soprattutto con l’aiuto di chi ha scelto di vivere di cinema. Il nostro Cineclub è tutto questo, è famiglia, come lo è Metro-Polis. E tutti sono i benvenuti, perché, come scrisse il nostro Francois, «i film sono più armoniosi della vita».
Ritorno quattordicenne, premo play (questa volta ricorro a YouTube) su Kiss me dei Sixpence None the Richer, e li ringrazio. Perché ormai anche io, ogni volta che metto piede a Parigi, corro al Cimitero di MontMartre, per donare un fiore al mio grande amico.
Riparte quella intro di chitarra.
Gli anni Novanta sono durati troppo poco.
La vita di Francois Truffaut è durata troppo poco.
- Se volete leggere il libro della Malanga (edito da Baldini&Castoldi) lo trovate da Ivan in via Mentana, insieme alla bellissima biografia scritta da Antoine de Baecque e Serge Toubiana (edita da Lidau).
Ciao,ho letto il tuo articolo sul regista francese,che ho scoperto solo oggi, facendo il fermo immagine nel video di Leigh Nash the sixpence not the Richter Kiss me, deve essere stato una grandissimo artista,per catturare cosi l’attenzione di questa ragazza del Texas, che è perfetta per il video romantico girato a Parigi, bellissima ed ancora troppo bella, che credo colga in pieno lo stile di Francoise Truffeut.
Ero anch’io ragazzo in quegli anni 90 e lo sono tutt’oggi.
Sono stato a Parigi per tre giorni per la prima volta e anche a Montmartre,con una ragazza francese lo scorso autunno mi ci ha portato lei, l’avessi saputo sarei andato volentieri a salutarlo.
Ciao Luca