Se chiudete gli occhi e pensate ad un campo di concentramento, come lo vedete?
Personalmente, lo vedo in bianco e nero. Sarà per i filmati e le foto d’epoca, ma lo immagino così: in bianco e nero e innevato. Invece, nonostante la ferocia distruttiva degli uomini, la natura continuava il suo percorso, mostrando tramonti rossastri, prati verdi, nuvole basse e dense di pioggia, soli accecanti, foglie morte e fiori che sbocciavano.
Questo è, in parte, il senso di Essere senza destino (Feltrinelli, 2004), capolavoro dello scrittore ungherese Imre Kertész (1929), premio Nobel per la letteratura nel 2002 e scomparso il mese scorso, precisamente il 31 marzo, a 86 anni. Si tratta di un romanzo autobiografico che ricorda l’esperienza dei campi di concentramento in cui fu deportato, quindicenne, nel 1944, e da dove fu liberato, nel 1945. Continue reading