Abbiamo già parlato del primo dei cosiddetti delitti del Dams, cioè di quegli omicidi che furono così falsamente definiti dalla stampa dell’epoca. In realtà la scorretta definizione nacque dopo l’assassinio di Francesca Alinovi e, dato che parliamo di un omicidio avvenuto più di trent’anni fa, quando forse molti lettori non erano ancora nati e, se lo erano, erano troppo piccoli per ricordarlo ora, vale la pena riassumere per sommi capi la vicenda.
Francesca Alinovi era una donna di 35 anni, assistente universitaria del DAMS, nella fattispecie l’assistente di Renato Barilli, uno dei docenti che quel dipartimento l’aveva proposto e creato, insieme ad Umberto Eco. Pur essendo giovane, l’Alinovi era già molto nota, anche a livello internazionale, come critico d’arte e come talent-scout. Bella, molto bella, si vestiva e pettinava però come una ragazzina adolescente un pò ‘scoppiata’, con una capigliatura improbabile ma molto alternativa che, in un certo senso, ‘rovinava’ la sua bellezza.
Il 15 giugno del 1983, in una giornata torrida come possono essere le estati bolognesi, i Vigili del Fuoco fanno irruzione nel suo appartamento di via del Riccio, allertati dai vicini – che sentono odori sgradevoli- e da parenti e amici dell’Alinovi che, da tre giorni, non risponde al telefono e non dà più notizie di sé.
In quell’appartamento, Francesca viene trovata riversa sul pavimento, vestita di tutto punto (scarpe comprese) e morta, uccisa da 47 coltellate. La porta non mostra segni di effrazione, come se la donna conoscesse bene il suo assassino e l’avesse fatto entrare; pare inoltre che la vittima fosse molto prudente e che non aprisse la porta a nessuno, se non dopo aver controllato, dalla finestra, chi aveva suonato. Quindi certamente conosceva il suo assassino.
Ma una donna così impegnata nell’arte, sempre in giro tra una mostra e una festa, conosceva tanta gente e frequentava – come è ovvio, se era anche una scopritrice di talenti- alcuni dei suoi studenti da lei giudicati promettenti o validi; tra questi, Francesco Ciancabilla, pittore di 23 anni.
Tra i due si era creato, negli ultimi due anni, un rapporto ambiguo, conflittuale, contraddittorio: lei se ne era innamorata perdutamente, lui la considerava la sua ‘migliore amica’, ma di sesso non se ne parlava. Particolare non secondario: Francesca, sull’onda di quell’amore, era diventata il suo pigmalione, cercava di vendere i suoi quadri, lo promuoveva.
Lui aveva accettato di buon grado questa dipendenza e anzi, pare, insistesse, perché aveva bisogno di denaro: era eroinomane, quindi di soldi gliene servivano parecchi.
E qui un’altra contraddizione: la donna non accettava la dipendenza da eroina del ragazzo e le sue insistenze su questo punto erano causa di violente discussioni; altra cosa, però, era la cocaina, di cui entrambi facevano uso, anche insieme.
Da tutta una serie di controlli su telefonate e, soprattutto, dall’orologio fermo dell’Alinovi, un Rolex che si carica col movimento del braccio, viene ipotizzato che la donna possa essere stata assassinata tra le 17 e le 24 del 12 giugno. Ciancabilla, ufficialmente l’ultima persona ad averla vista viva, sostiene di averla lasciata alle 19:30 del 12, quando è uscito dall’appartamento per recarsi alla stazione e prendere il treno per Pescara, dove vivono i suoi genitori.
Il ragazzo è il maggiore indiziato e, sulla base anche di testimonianze della sorella e di amici, aveva avuto già in passato, nei confronti dell’Alinovi, manifestazioni di aggressività fisica. I motivi di questi tremendi scoppi di collera e violenza pare avessero diversi elementi scatenanti: l’alterazione dovuta all’uso di droghe, le discussioni con Francesca sull’eroina e le conflittualità nel loro rapporto derivate dal fatto che lei lo amava, lui no… però stava sempre con lei.
Altri elementi vengono alla luce dal diario, perché Francesca tiene un diario. È un’abitudine che pochi hanno, passata l’adolescenza, eppure questa donna così già affermata, con rapporti professionali significativi con gli USA, scrive un diario. Ricordo alcuni stralci di quel quaderno e, sebbene all’epoca della sua morte io fossi molto più giovane di lei, ne rimasi sconvolta: spesso le parole, specie le parole d’amore, erano incredibilmente ingenue, adolescenziali, come quelle che qualsiasi quattordicenne dell’epoca – ora, forse, ventenne – poteva scrivere. Mi stupì profondamente questo enorme divario tra la figura pubblica e quella intima, che denotava un’immaturità emotiva, affettiva, quasi incredibile in una donna di 35 anni; mi stupì la differenza tra quell’immagine aggressiva, da dark lady, e quelle parole da ragazzina inerme, in balia di sentimenti e di dubbi degni, appunto, di un’ingenua adolescente. In quel diario, alcune affermazioni suonano bizzarre: la corrispondenza dei nomi (Francesco e Francesca, nomi del resto molto belli ma anche molto comuni), una presunta somiglianza fisica tra i due (che, nella realtà, non traspare proprio) ed alcuni elementi emotivi convincono la donna che quel ragazzo è il suo corrispettivo maschile, ciò che lei avrebbe voluto essere se fosse nata uomo.
Processato su una base di indizi, Ciancabilla viene assolto per insufficienza di prove nel 1985 ma, in secondo grado, viene condannato a 15 anni di carcere per omicidio volontario più altri tre di casa di cura e custodia (gli ex manicomi), essendogli riconosciuta la semi-infermità mentale. La perizia psichiatrica parla, infatti, di personalità borderline e narcisista. Ma quando i giudici emettono la seconda sentenza, nel 1986, Ciancabilla non è in aula: in attesa del giudizio, percepita l’aria che tira, esce e – evidentemente grazie a dei complici – si allontana, rendendosi irreperibile per anni. Viene condannato in contumacia anche in Cassazione, nel 1988, a dodici anni per omicidio preterintenzionale, mentre lui vaga tra la Spagna e il Brasile, latitante; viene riconosciuto in Spagna nel 1997, estradato in Italia ed incarcerato.
Ciancabilla ha scontato la sua pena e continua a proclamare la sua innocenza, chiedendo la revisione del processo. È tornato a dipingere e, nel gennaio del 2015, ha esposto le sue opere in una mostra dedicata a ritratti delle donne importanti della sua vita, tra cui spiccava il ritratto proprio della Alinovi.
Rimangono molti dubbi su questo caso: 1) con 47 coltellate, di cui una sola mortale – alla giugulare – l’assassino dovrebbe essersi sporcato di sangue e, secondo testimoni che l’hanno visto in quella sera di giugno alla stazione, Ciancabilla aveva abiti puliti; 2) via del Riccio, lo diciamo per chi non conosce Bologna, non si potrebbe nemmeno definire una via, tanto è stretta: l’intimità coi dirimpettai è quasi inesistente e nessuno, in quei giorni così torridi, senza condizionatori e con le finestre aperte, ha sentito grida provenire dall’appartamento. Perché?; 3) nonostante la giornata estiva così calda, la vittima indossava pantaloni lunghi, una maglia a maniche lunghe, un gilet e le scarpe, come se fosse pronta per uscire; 4) un interruttore della luce sporco di sangue, fatto incongruente con l’orario e la stagione visto che, alle 19:30 di quel giorno, la luce elettrica sarebbe stata superflua. Se quell’interruttore fosse stato conservato, forse sarebbe ‘la prova’, in un senso o nell’altro.
Sono dubbi che – con le tecniche di investigazione scientifica di oggi – sarebbero potuti essere risolti, ma chissà se i reperti e le prove sono state conservate.
© Danila Faenza
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