‘In the room’ di Francesca Cesari

‹‹La dimensione appartata e silenziosa del luogo in cui una madre addormenta il bambino attraverso l’allattamento al seno››[1] è quello spazio intimo e universale in cui ci ha condotto Francesca Cesari[2], ospite di uno degli ultimi Aperitivi a Tema di Metro-Polis.
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La dinamica che s’instaura tra madre e figlio sostanzia un luogo che è al contempo alterità insopprimibile e domestica prossimità: un nodo che “In the room”[3] non pretende di sciogliere, bensì di cogliere in tutta la sua dirompente autenticità. Una dimensione quasi metafisica, quindi, che respira di quell’anelito alla sacralità tipico di alcune rappresentazioni pittoriche; eppure una dimensione che qualifica una realtà autenticamente intima, sfuggevole ad ogni definizione, esclusiva. Al di la di ogni irrigidita sostanza, questi scatti catturano la natura di un rapporto, di un dialogo a due che vive del silenzio dell’abbandono: un sentirsi, quello tra madre e figlio, ogni volta differente, mutevole per ogni coppia di soggetti, frutto di dinamismi che possiamo sbirciare ma che non possiamo rendere completamente intelligibili. Come per i limoni di Montale[4], ci è concesso giusto rubare un qualche istante di questo esclusivo rapporto, dobbiamo saziarci del giallo odore di un frutto che in nessun caso possiamo veramente afferrare: come bambini non abbiamo ricordo nitido di questa dimensione, come madri non la possiamo spiegare; meraviglioso paradosso.
Sono rimasto particolarmente colpito dal fatto che Francesca Cesari, presentandoci questo suo lavoro, abbia più volte utilizzato il termine assoluto: ha avuto su di me un effetto dirompente, vivo, immettendomi all’interno del senso profondo di “In the room”. Una chiave interpretativa, quella dell’assoluto, che mi ha permesso di cogliere quell’inesprimibile alterità di cui ho scritto poco sopra; ma anche la soglia di accesso verso la carnosa realtà dei gesti, la luce puntata sulla quotidianità di una pratica, sulla fisicità dei soggetti. Ecco allora che l’attenzione si focalizza sull’inesausta mano di un bimbo che, nonostante l’abbandono dei sensi, ancora si aggrappa alla madre in un gesto di tremenda dolcezza; oppure si è colpiti dallo sguardo penetrante di una donna rivolto alla macchina fotografica, quasi una rivendicazione di forza, quasi a voler stabilire un’equazione tra maternità e sfida.
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E’ nei dettagli delle mani che ho ritrovato Metro-Polis. Nell’intreccio dei corpi, nella vivida esperienza del sostegno e dell’abbraccio. Spesso parliamo di un comune sentire che attraversa i nostri soci, che è il sostrato del nostro essere insieme; altrettanto spesso non sappiamo come definirlo, timorosi d’ingabbiarlo ma allo stesso tempo affetti dalla bramosia dell’etichetta. Oggi, saccheggiando impunemente il lavoro di Francesca Cesari, mi sento di azzardare questa definizione: quelle mani sono il nostro comune sentire, noi siamo quel tenersi, quell’affidarsi a un sogno, quello stringersi insieme ebbri d’un nettare dolcissimo.

 

Mattia Macchiavelli

[1] Francesca Cesari, fotografa professionista, sul sito www.francescacesari.com .

[2] ‹‹Francesca Cesari lavora come fotografa freelance a Bologna, ha una laureata in Storia dell’Arte Contemporanea e un Diploma del London College of Communication in Professional Photographic Practice. La sua ricerca artistica si concentra sulle persone fotografate a luce ambiente e i temi che predilige riguardano principalmente la maternità, la famiglia e il rapporto tra generazioni›› in www.francescacesari.com .

[3] Ultimo lavoro fotografico di Francesca Cesari, oggetto del nostro Aperitivo a Tema di febbraio.

[4] ‹‹I limoni›› di E.Montale, in ‹‹Ossi di seppia››, 1925

 

 

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