UNO SGUARDO SULLA MIGRAZIONE. INTERVISTA AL FOTOGRAFO MARCO PANZETTI

a cura di Silvia Salucci

Lo scorso 18 giugno, Metro-Polis ha dedicato l’Aperitivo a Tema del mese al fenomeno delle migrazioni. L’incontro, ricco di interventi e molto partecipato, si è tenuto, senza averlo preventivato, nei drammatici giorni della vicenda Aquarius. Con questa intervista al fotografo Marco Panzetti, curata da Silvia Salucci, intendiamo proseguire virtualmente riflessioni e suggestioni emerse in quella serata.

Marco, qual è il tuo sguardo sulla realtà della migrazione? Raccontaci il tuo primo lavoro e come nasce un reportage umanitario.

Il mio primo reportage umanitario nacque dall’indignazione. Ricordo chiaramente quei giorni dell’estate del 2015, quando da Ventimiglia arrivavano in continuazione notizie dalla frontiera francese chiusa al transito dei migranti: respingimenti “a caldo”, deportazioni lampo, migranti accampati sulle rocce. A un certo punto pensai che l’unica cosa che potevo fare era andarci di persona. E così feci; presi la mia macchina fotografica, una tenda e partii in moto per Ventimiglia. Così è nato il mio primo progetto: We are not going back.

Tra agosto e settembre 2016 hai lavorato a bordo dell’Aquarius. Raccontaci quei giorni attraverso alcuni dei tuoi scatti.

February 22nd 2017, 1PM. A rubber boat in distress overloaded with migrants photographed a few miles off the coast of Libya. © Marco Panzetti / Sos Méditerranée

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EDITORIALE – TI PORTO DI ME

14053768_997367427049007_585232331585936585_o‹‹Ti porto di me›› è nato da una trappola: volevamo incastrare la nostra Silvia Salucci per un Aperitivo a Tema dedicato al suo modo di intendere e di fare fotografia. Quelle foto fresche e divertenti, quell’impertinenza evocativa, avrebbero certamente meritato un incontro ad hoc, ma Silvia ha giocato una mano astuta, calando il così detto carico da novanta: “Perché invece non organizziamo un Aperitivo a Tema in cui chiunque può portare un proprio talento o una propria passione?”, più o meno sono state queste le parole.

Così è nato ‹‹Ti porto di me››, un po’ per gioco come alle volte accade in Metro-Polis, ma un gioco importante: un gioco che ci sveglia, che ci interroga, che ci porta a condividere qualcosa. La dimensione del contatto, la creazione di uno spazio di dialogo, la costruzione di un luogo in cui sia possibile tanto il darsi quanto la serenità del darsi: in questa fatica risiede l’agile salto che andiamo cercando, una leggerezza che mai è superficialità. Continue reading

LA CONVIVENZA DEGLI OPPOSTI

Sul blog di Metro-Polis ospitiamo, questo mese, un articolo di Claudio Bindella, pittore, fotografo e artista milanese. Ho conosciuto Claudio quasi per caso, come nelle migliori commedie hollywoodiane, e ho avuto il piacere di collaborare, con un mio piccolo contributo, al suo libro ‹‹A world of happiness››: una raccolta di suoi lavori degli ultimi dieci anni. Ho così avuto la possibilità di chiedere a Claudio di raccontarsi e di raccontarci la propria esperienza artistica. Vi invito a esplorare il sito internet di questo artista per poter curiosare nel mondo colorato e cangiante della sua produzione.
Nel ringraziare Claudio Bindella per la generosa disponibilità, vi auguro buona lettura!

Mattia Macchiavelli

cuoredifarfallabigkime1000contagioLA CONVIVENZA DEGLI OPPOSTI

Per me non è facile scrivere. Una volta non era così, credo sia colpa della pittura o delle immagini in generale, credo si sviluppino abilità contrapposte che è difficile far convivere: nella scrittura il pensiero è lineare, ha un tempo, i concetti devono essere messi in fila, nell’immagine si ha tutto e subito, un colpo d’occhio; la prima è analitica, sviscera, approfondisce, la seconda ha la forza e la debolezza di una impressione, è imprecisa ma difficile da sradicare. Raccolgo comunque la sfida che Mattia mi ha lanciato, perché il far convivere gli opposti, e per me scrittura e immagini lo sono, è la sostanza del mio lavoro artistico e perché mi sembra che l’argomento possa in qualche modo ricollegarsi allo spirito di Metro-Polis che è la leggerezza unita all’impegno, la differenza che ci rende uguali, ancora una volta l’armonia che nasce dalla coesistenza degli opposti. Continue reading

CONOSCETE MARTIN PARR?

Alcune delle foto di Martin Parr, sembrano scattate da un bambino che, trovando la fotocamera digitale compatta dei genitori durante un barbecue di famiglia, fotografa tutta la giornata hot dog e parenti con abiti sgargianti che prendono il sole su lettini di plastica.

Martin Parr è un fotografo britannico (1952). Fa parte dell’Agenzia Magnum Photos dal 1994.

Ho conosciuto Martin Parr grazie ad una cara amica che mi ha regalato un suo libro UP AND DOWN PEACHTREE, PHOTOGRAPHS OF ATLANTA. A suo tempo rimasi perplessa e forse non troppo entusiasta. Se l’amica leggerà quest’articolo probabilmente ci rimarrà male. Un misto di curiosità ed estraneità nel vedere quanti primi piani di hot dog, cartelli pubblicitari, persone che parlano tra di loro in una composizione fotografica totalmente divergente dall’idea della fotografia di reportage. Alcuni scatti hanno anche una messa a fuoco discutibile.

Martin Parr – Up and down Peachtree, Photographs of Atlanta

Martin Parr – Up and down Peachtree, Photographs of Atlanta

Il suo primo libro, The Last Resort, pubblicato nel 1986 fece avanzare riserve sulla sua interpretazione della working class, un misto tra messa in luce di una società degradata, cibo spazzatura, colori sgargianti e personaggi anonimi o strampalati. «Martin Parr ha ritratto le persone al loro peggio», scriveva il critico David Lee su Art Review.  Continue reading

‘In the room’ di Francesca Cesari

‹‹La dimensione appartata e silenziosa del luogo in cui una madre addormenta il bambino attraverso l’allattamento al seno››[1] è quello spazio intimo e universale in cui ci ha condotto Francesca Cesari[2], ospite di uno degli ultimi Aperitivi a Tema di Metro-Polis.
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La dinamica che s’instaura tra madre e figlio sostanzia un luogo che è al contempo alterità insopprimibile e domestica prossimità: un nodo che “In the room”[3] non pretende di sciogliere, bensì di cogliere in tutta la sua dirompente autenticità. Una dimensione quasi metafisica, quindi, che respira di quell’anelito alla sacralità tipico di alcune rappresentazioni pittoriche; eppure una dimensione che qualifica una realtà autenticamente intima, sfuggevole ad ogni definizione, esclusiva. Al di la di ogni irrigidita sostanza, questi scatti catturano la natura di un rapporto, di un dialogo a due che vive del silenzio dell’abbandono: un sentirsi, quello tra madre e figlio, ogni volta differente, mutevole per ogni coppia di soggetti, frutto di dinamismi che possiamo sbirciare ma che non possiamo rendere completamente intelligibili. Come per i limoni di Montale[4], ci è concesso giusto rubare un qualche istante di questo esclusivo rapporto, dobbiamo saziarci del giallo odore di un frutto che in nessun caso possiamo veramente afferrare: come bambini non abbiamo ricordo nitido di questa dimensione, come madri non la possiamo spiegare; meraviglioso paradosso. Continue reading