LA ZONA “T” DELLA TELEVISIONE

IMG_3960In principio erano travestiti, o addirittura omosessuali semplicemente molto effeminati. Poi ci furono Brandon Teena di Boys don’t cry, ruolo per il quale Hilary Swank vinse l’oscar e, a distanza di qualche anno, la Bree Osbourne di Transamerica. Ora, da Laverne Cox, prima transessuale ad essere premiata agli Emmy Awards, per il suo ruolo di Orange is the new black, alla coppia di trans del Grande Fratello,  la T domina la televisione, persino quella italiana.
Il passaggio culturale che sta avvenendo nell’ambito delle questioni LGBT è piuttosto evidente: dalla politica ai mass media (ma soprattutto dai mass media alla politica) il tema è diventato martellante, soprattutto nei paesi, come l’Italia, che ancora non riescono ad adeguare la propria legislazione a quelli del restante mondo occidentale.

IMG_3959È poi principalmente dalla televisione che le tematiche di orientamento sessuale e identità di genere stanno prendendo più forza e ottenendo sempre più visibilità, raccontando storie e personaggi attraverso serie televisive, fiction o reality show.

Per quanto riguarda poi, in particolar modo, la tematica trans*, la quantità di buone narrazioni in ambito televisivo è aumentata esponenzialmente: dal pluripremiato Transparent al già citato Orange is the New Black, passando per Hit and Miss, GleeSense8, Pretty Little Liars.
Tutto questo chiaramente ha fatto da stimolo anche per il grande schermo, che per il 2015 ha in previsione due storie molto interessanti: The Danish Girl, con il premio Oscar Eddie Redmayne ad interpretare Lili Elbe (la prima persona transessuale ad essersi sottoposta all’intervento per la riassegnazione chirurgica del sesso) e About Ray, con Elle Fanning impegnata a raccontare le vicende di Ray, giovane transgender ftm (ossia in transizione da femmina a maschio).
Ma quanto è importante la visibilità televisiva per questi temi? Ebbene, lo ha spiegato bene Nick Adams, direttore del programma GLAAD Transgender media in una recente intervista:
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“Anche se il numero di americani che dice di conoscere personalmente una persona transgender è cresciuto, l’84% degli americani continua a
conoscere le persone transgender solo attraverso i media. Per questo è cruciale che i media aumentino e migliorino la loro copertura delle storie transgender, e che le persone transgender abbiano l’opportunità di raccontare le loro storie, le loro vite, i problemi che incontriamo”.
Proprio sulla linea delle parole di Adams si sta per esempio muovendo, in Italia, Real Time, che proprio in questo periodo, ogni lunedì sera, presenta al pubblico Vite Divergenti: storie di un altro genere, uno sguardo sulla realtà trans italiana costruito sui racconti di 14 persone (molte attiviste dell’associazione bolognese Mit) transessuali e transgender.
Tutto questo non può che incidere sulla cultura popolare: ormai sbagliare il pronome con il quale ci si rivolge ad una persona trans non sarà più giustificato con l’ignoranza, l’utilizzo di parole offensive come ‘viados’ non sarà più imputabile alla “cattiva scuola” televisiva. No, queste saranno scelte consapevoli e transofobe, che si spera possano diventare al più presto solo un triste ricordo di arretratezza culturale.
Irene Pasini

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