TUTTO È POLITICA – ARIETE: POTENZA E COMBATTIVITÀ

di Rosalba Granata

Zola, J’accuse

«Il mio dovere è di parlare, non voglio essere complice. Le mie notti sarebbero abitate dallo spirito dell’uomo innocente che espia laggiù nella più spaventosa delle torture un crimine che non ha commesso. Ed è a Voi signor Presidente, che io griderò questa verità, con tutta la forza della mia rivolta di uomo onesto […].

Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione.

Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale.

E l’atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. La mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. Che si osi dunque portarmi in assise e che l’indagine abbia luogo al più presto. Io aspetto. Vogliate gradire, signor Presidente, l’assicurazione del mio profondo rispetto». (Zola)

Il 13 gennaio 1898 il giornale socialista francese L’Aurore pubblica il testo di Émile Zola J’accuse che denuncia con forza, indicandoli con nome e cognome, i responsabili di falsità nel corso del processo contro Alfred Dreyfus che hanno portato alla condanna per alto tradimento.

Dreyfus, un capitano francese di origine ebraica, impiegato presso il Ministero della Guerra, era stato accusato nel 1894 di aver rivelato informazioni segrete ai tedeschi. Una montatura, nulla di vero, che aveva acceso una forte ondata di antisemitismo in Francia.

Zola, dopo la pubblicazione del J’accuse fu condannato a un anno di carcere per vilipendio delle forze armate. Ma la sua lettera ebbe ampia risonanza e come conseguenza la riapertura del caso Dreyfus.

Manet, Ritratto di Émile Zola, 1868, olio su tela (146 cm × 114 cm), Parigi, Museo d’Orsay.

Recentemente il testo del J’accuse è stato ripubblicato in italiano nella sua versione integrale, con prefazione di Roberto Saviano(1) nella quale lo scrittore sottolinea come il J’accuse sia una carica esplosiva, un attacco frontale contro esercito e politica, quindi contro il potere.

La Francia era sprofondata in un atteggiamento omertoso e colpevole di fronte a una gigantesca ingiustizia. A questo punto Zola, scrittore di fama, aveva deciso che non poteva tacere.

Saviano ricorda che è questa la prima volta in cui un intellettuale si schiera in difesa dei diritti umani. Dopo di lui è stato normale, quasi ovvio, una prassi ormai diffusissima e a inaugurarla, con una potenza per l’epoca dirompente, fu proprio Zola.

Il suo coraggio di intellettuale libero, che si è battuto contro l’ingiustizia con la consapevolezza che avrebbe pagato per le sue idee, può essere ancora oggi una lezione e «più di un conforto nei momenti insopportabili del quotidiano, quando le notizie ti raggiungono come prova oggettiva dell’impossibilità di poter vivere in un paese giusto, quando ti accorgi che la soluzione adottata dai più è abbandonarsi al livore o alla rassegnazione». (Saviano)

Degas, Interno. L’atmosfera del dipinto è inquietante. Per molti studiosi fa riferimento a un passo del romanzo Teresa Raquin di Zola

Zola è un tipico Ariete.

Ben cinque astri sono presenti in questo segno: Sole, Luna, Mercurio, Marte, Plutone.

Le sue qualità migliori sono la franchezza e il coraggio.

«La sua vita intera è segnata della lotta, dalla passione, dalla polemica violenta». (Barbault)

La potenza e combattività del suo J’accuse ne è l’esempio più emblematico. Ma il suo impegno si era già espresso attraverso vari interventi, tra i quali quelli nel settimanale repubblicano La Tribune e nelle prese di posizione in favore della libertà di stampa che spesso lo avevano sottoposto all’attenzione della polizia politica.

Anche nei romanzi esprime la sua violenta accusa nei confronti delle ingiustizie e ipocrisie della Francia della sua epoca.

Zola infatti, massimo esponente del romanzo naturalista, usa tinte forti nel rappresentare la situazione del proletariato dell’Ottocento. Mostra in primo piano la povertà che diviene degradazione umana, si lega ad alcolismo, a prostituzione, a ogni forma di squallore.

Tinte forti perché sia forte la denuncia sociale.

Nel suo oroscopo è invece Saturno, in posizione di rilievo, che riesce a disciplinare il focoso Ariete. Gli dà rigore. E infatti si documenta in modo approfondito su problemi, luoghi, realtà che intende rappresentare. Per esempio passa molti mesi tra i minatori prima di scrivere Germinal, uno dei suoi capolavori.

Van Gogh, La vigna rossa, 1888, olio su tela. Il dipinto può bene illustrare la frase con cui Barbault definisce le caratteristiche degli artisti dell’Ariete: «Immagini definite, colori vivi, impressioni forti»

Ariete e politica nel nostro tempo

Marte e il Sole danno all’Ariete una forza esplosiva e certamente ha bisogno di uno scopo in cui incanalare tanta energia.

Ma raramente è davvero adatto all’attività politica, generalmente gli manca quella determinazione, costanza e sottigliezza che caratterizzano il vero politico.

Uno dei primi articoli di astrologia che ho scritto è stato dedicato a Pietro Ingrao, quasi un atto d’amore per questo politico che mi è stato particolarmente caro negli anni giovanili.

D’Alema l’ho citato in Zodiaco elettorale del 2018.

Il suo Sole è all’ultimo grado dell’Ariete ma, a mio avviso, il suo profilo politico è segnato dall’elemento Terra e soprattutto dal Capricorno in cui ha Luna e Ascendente.

Goya, Le fucilazioni, 1814, olio su tela (268 cm x 347 cm), Madrid, Museo del Prado.

Anche la pittura può essere politica.

Nel 1814 Goya rappresentò con due quadri la ribellione spagnola del maggio 1808 contro l’occupazione francese di Napoleone. In uno dipinse la carica della cavalleria francese a piazza Puerta de Sol nella capitale, nell’altro, e assai più noto, la fucilazione dei rivoltosi.

Goya aveva affermato: «Sento forte il desiderio di perpetuare, per mezzo dei miei pennelli, le azioni e le scene più eroiche e notevoli della nostra gloriosa insurrezione contro il tiranno d’Europa».

Il dipinto Le fucilazioni, pur riferendosi ad un episodio storico preciso, assume un forte carattere simbolico. Un monito contro gli orrori della guerra.

È una scena buia, notturna. Notiamo come il plotone d’esecuzione sia rappresentato di spalle: i soldati sono nell’ombra, sono uomini senza volto, costituiscono una massa compatta, una macchina di distruzione, violenta e disumana.

Per terra una grande lucerna illumina il gruppo dei condannati. Tra questi uno diviene il protagonista della scena. Spicca il bianco luminoso della camicia che attira subito su di lui il nostro sguardo. È in piedi, ha le braccia alzate, il volto stravolto da rabbia e terrore.

Avvolta dalle tenebre sul fondo è la città ancora sconvolta dai tumulti.

Goya è, insieme a Van Gogh, il pittore più rappresentativo dell’Ariete, segno in cui ha Sole, Mercurio, Venere, Marte.

Le forti dissonanze del suo tema di nascita (Saturno, opposto in Bilancia, Luna e Nettuno in Cancro in quadratura col Sole) sono espressione della sua personalità tormentata e della drammaticità della sua opera.

Appartiene a un’epoca di passaggio tra Illuminismo e Romanticismo e dà voce al sentimento angoscioso dell’esistenza tipico delle età di transizione.

«Il sonno della ragione genera mostri». Sono le parole impresse e illustrate in un suo famosissimo disegno. Parole ancora oggi drammaticamente attuali.

Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1797, acquaforte

Note

1. Saviano nell’articolo del 18 novembre 2011 su la Repubblica dal titolo La lezione di Zola. Perché il suo J’accuse è ancora un modello riporta parte della sua Prefazione al testo del J’accuse.

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