EDITORIALE: VERSO LE ELEZIONI EUROPEE 2019. TRA VECCHIE PAURE E NUOVE SFIDE

di Beatrice Collina

Brexit. Populismi. Rigurgiti xenofobi e nazionalisti.

Negli ultimi anni, il progetto europeista ha dovuto fare i conti con difficoltà inedite, per quanto previste già da tempo dagli sguardi più attenti e lucidi. Da un lato, il riaffacciarsi di vecchie paure, spesso opportunisticamente fomentate, e dall’altro l’incapacità di dare nuovo impulso a quella visione di casa comune, democratica e accogliente, diventata unica scelta per uomini e donne usciti dalle macerie del Novecento. Le elezioni europee del prossimo 26 maggio saranno un banco di prova importante, ma verosimilmente non definitivo, di un processo che da un punto di vista storico è ancora ai primi passi e a cui si deve quantomeno concedere il fisiologico alternarsi di entusiastiche accelerazioni e pessimistiche battute d’arresto. Nel riflettere su questo movimento “a fisarmonica”, recupero, sebbene un po’ sbiadita nella memoria, l’idea di Habermas per il quale a fasi storiche caratterizzate da grandi aperture seguirebbero, per reazione, periodi di irrigidimento e forte chiusura. Sarebbero proprio questi tuttavia a preparare il terreno a nuovi slanci, capaci non solo di recuperare, ma addirittura ampliare, quegli orizzonti su cui ci si era bloccati. Un’analisi che permette di riconoscere le criticità del momento, ma senza disperarne.

Il funzionamento delle principali istituzioni europee, in particolare di quelle a carattere elettivo che come cittadini dell’Unione ci chiamano in causa in modo diretto, i limiti e le contraddizioni dei partiti sovranisti che emergono e si affermano un po’ ovunque in Europa, le responsabilità politiche di popolari e socialdemocratici negli ultimi decenni e la prospettiva futura della loro azione, ma anche il risvegliarsi di una coscienza europeista che non si accontenta dello stato di cose attuale e pone al centro una critica costruttiva: questi sono solo alcuni dei molteplici spunti di riflessione che hanno contraddistinto l’Aperitivo a Tema di Metro-Polis dello scorso 17 marzo e che ha visto come nostri ospiti Gianluca Guerra, impegnato nell’esperienza di Volt, Federica Stagni, dottoranda in Scienze politiche all’Università Normale di Pisa, e Roberto Grandi, esperto in comunicazione pubblica e politica e professore alla Bologna Business School. Un Aperitivo fortemente voluto e pensato come punto di inizio di una riflessione che accompagnasse gli ultimi mesi prima delle elezioni.

Nel ripensare di questi tempi alla storia dell’Unione europea, viene da chiedersi in quale momento sia avvenuta l’incrinatura che ne ha determinato la crisi degli ultimi anni. Quando si sono persi di vista gli ideali che ne hanno illuminato inizialmente il percorso? I flussi migratori, che pongono l’Unione di fronte a una sfida oggettiva nei tempi più recenti, sono probabilmente solo la punta di un iceberg o uno specchietto per allodole: i meccanismi inceppati vanno cercati più in profondità e, cronologicamente, più addietro. Forse la crisi è in parte frutto di un peccato originario: lo scarto tra l’ideale politico del progetto e la precedenza che invece è stata accordata agli aspetti di carattere commerciale ed economico. Pur condividendo una certa storia, una certa cultura, un certo modo di concepire le relazioni umane e sociali, insomma tutto quel sostrato che permetterebbe a buona parte dei cittadini europei di sentirsi “a casa” in qualsiasi paese dell’Unione (una sensazione che forse non avrebbero in Asia, in Africa e neppure nell’apparentemente più simile Nord America), è difficile che in prima battuta ci si autodefinisca europei. Questa non-definizione è comunque un risultato politico, che dovrebbe suggerire una serie di riflessioni. A mancare potrebbe anche essere un’adeguata narrazione.

D’altro canto, il primato della questione economica su quella politica non ha garantito un’equa ripartizione delle risorse e delle possibilità socio-economiche. I cittadini europei non hanno tutti le stesse chances. Ancora una volta, riecheggiano le parole di Habermas (in realtà in buona compagnia) quando, in tempi non sospetti, criticava l’“Europa a due velocità” e ne presagiva le nefaste conseguenze. Le distanze tra il centro e le periferie dell’Unione, e non solo da un punto di vista geografico, si sono allargate. In quegli spazi vuoti, si sono create voragini.

Nessuno tuttavia può pensare di tornare indietro dall’Unione europea. Questo aspetto è emerso con chiarezza nel corso della serata di Metro-Polis. Impensabile che i singoli Stati possano fronteggiare in solitudine paesi come la Cina o colossi economici come le multinazionali della tecnologia. Gli stessi partiti sovranisti, che al di là di visioni teoriche condivise si troveranno inevitabilmente a combattere per interessi contrapposti, hanno bisogno dell’Unione, delle sue risorse prima di tutto. L’obiettivo per loro non può più essere banalmente uscirne: le conseguenze della Brexit hanno messo tutti in guardia e, infatti, nessuno auspica più il ricorso a referendum. Sul fronte tradizionale, popolari e socialdemocratici dovranno invece proporre qualcosa di maggiormente efficace di un attacco frontale ai populisti, lavorando su temi forti per tentare di recuperare il filo di un percorso politico che coinvolga davvero tutti i cittadini europei. Nel frattempo, in una situazione così fluida, nuove energie possono trovare spazio per riprendere e rafforzare la sfida europeista.

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