di Rosalba Granata
«Venni al mondo nel 1940 in un harem di Fez, città marocchina del nono secolo, cinquemila chilometri circa a ovest della Mecca e solo mille chilometri a sud di Madrid, una delle temibili capitali cristiane. Mio padre era solito dire che con i cristiani, e con le donne i guai nascono quando non vengono rispettati i hudùd, ovvero i sacri confini».
Incipit di La terrazza proibita
Quello di Mernissi è un racconto autobiografico. Fatema, la voce narrante, già dall’incipit ci proietta nel tempo e nello spazio. Il Marocco dall’epoca della dominazione francese alla indipendenza. Un harem della città di Fez.
Non è però l’harem dell’immaginario occidentale con sensuali odalische, eunuchi e sultani, ma è la casa alto borghese dove vivono una cinquantina di persone, la famiglia allargata dei fratelli Mernissi che comprende padre e zio della protagonista con le loro mogli e figli, la nonna paterna e le donne sole, vedove o ripudiate. È una casa lussuosa ricca di cortili, fontane, stanze con tendaggi e tappeti. Ed è una vera fortezza. Tutte le finestre danno sul cortile. E le donne ci vivono recluse. Magari molto amate, come nel caso della madre di Fatema, ma recluse.
È quindi il luogo della sottomissione delle donne alle quali sono imposte precise regole e la prima è quella di non varcare i «sacri confini» delle mura domestiche. E infatti il primo capitolo è dedicato ai confini. I confini che le donne non possono varcare.
Poi in alto, sopra le stanze dell’harem, ci sono le terrazze. È questo lo spazio delle donne. Qui durante il giorno si svolgono tutte le attività. Vi sono le giare delle olive, i pomodori da seccare, il bucato, il ricamo. E il lavoro è accompagnato da chiacchiere, scherzi, risate, commenti e anche infuocate discussioni. La terrazza è anche il luogo spensierato dell’evasione, quello in cui la fantasia può esprimersi, il luogo dei racconti, dei canti, delle rappresentazioni teatrali allestite dalle stesse donne dell’harem, nelle quali prendono vita le loro eroine, la principessa cantante o l’aristocratica egiziana che ha lottato per l’innalzamento dell’età dei matrimoni e ha ottenuto per le donne il diritto di voto. I bambini partecipano con grande entusiasmo soprattutto quando loro stessi sono chiamati a rappresentare episodi storici, come per esempio la grande marcia delle donne del 1919.
«Gli intrattenimenti si tenevano negli spazi fuori mano, ai piani alti, o sulla terrazza. […] Quando l’entusiasmo si faceva davvero intenso, mi mettevo a dondolare avanti e indietro, con il cuscino in grembo, cavalcando rapita l’incantesimo di parole gettate sugli astanti da zia Habiba, grande sacerdotessa dell’immaginario. Lei era convinta che tutte noi avessimo dentro della magia, intessuta nei nostri sogni. “Quando ci si trova in trappola, impotenti dietro a delle mura, rinchiuse in un harem a vita”, diceva, “allora si sogna di evadere. E la magia fiorisce quando quel sogno viene espresso a far svanire le frontiere. I sogni possono cambiare la vita, e, con il tempo, anche il mondo»(1).
La zia Habiba è una delle figure femminili bizzarre e forti che vivono all’interno delle mura. È una donna divorziata (o meglio ripudiata dal marito) e quindi ospite nell’harem di famiglia Mernissi, che, proprio per questa sua condizione, doveva rendersi invisibile. Anche nel vestire aveva limiti, gli stessi ricami sul caffettano da indossare, potevano essere solo classici e non appariscenti. Tuttavia la Zia Habiba era sicuramente una donna molto interessante che sapeva ammaliare con le sue storie. È la grande sacerdotessa dell’immaginario.
Altra figura femminile che la scrittrice ci fa conoscere è sua madre. Ce la descrive come una donna profondamente scontenta di vivere nell’Harem e desiderosa di una vita coniugale intima insieme al marito e ai figli. Era anche addolorata per il fatto che le fosse stato vietato di imparare e leggere e scrivere e per non poter indossare abiti più comodi e mostrare il capo scoperto.
Ma tra le donne dell’Harem non c’era solo la fazione favorevole al cambiamento. La nonna paterna rappresenta la matriarca conservatrice ed esprime il pensiero tradizionalista che riteneva sovversiva qualsiasi cosa contraddicesse il pensiero degli uomini e «i sacri doveri».
E più in alto ancora, tanto da essere difficilmente raggiungibile, vi era la terrazza più alta, la terrazza proibita, la terrazza in cui ci si rivelano i segreti, quella in cui si andava anche a cercare la solitudine.
«La terrazza al di sopra di quella dove avevano luogo gli spettacoli era proibita perché priva di parapetti, e poteva bastare un falso movimento per cadere giù e sfracellarsi al suolo».
La terrazza proibita è un testo appassionante. Pubblicato in Italia nel 1996 ci ha fatto conoscere Fatema Mernissi e ci ha aperto un mondo. Con lei abbiamo visto in modo diverso gli usi, la cultura del mondo arabo e le sue donne straordinarie. Questo libro è un viaggio in un’altra cultura.

Dopo il successo del primo libro viene pubblicato L’harem e l’Occidente, che parte da un viaggio di Fatema in Europa. Venendo a contatto con la cultura occidentale Fatema si rende conto dell’ignoranza sul suo paese e sull’Islam e rimane piuttosto confusa di fronte all’interesse un po’ morboso e alla visione distorta dell’harem e della donna nell’harem.
Per lei sono assolutamente incongruenti le immagini di pittori come Matisse e ancor più Ingres. Davanti al capolavoro di Ingres La grande odalisca rimane sconcertata. «C’era qualcosa in quell’odalisca che mi irritava: era nuda. Negli harem le donne non sono nude, anzi sono spesso abbigliate in foggia maschile».
Perché, si chiede, questa ossessione, questo fantasticare su un harem con donne pigre, passive, che paiono in continua attesa di un contatto erotico?
In contrapposizione a questa rappresentazione ci propone le donne forti e volitive della storia e dell’arte islamica, come l’eroica Sheherazade delle Mille e una notte, e quelle dipinte nelle miniature. Incantano le figure di Zubayda moglie del Califfo Harun ar-Rashid, o la principessa Nur Gian moglie del sovrano moghul del XVII secolo che si fa ritrarre a caccia di tigri, esempi di donne che pur vivendo nell’harem hanno influenzato la cultura e la politica imperiale. Incanta Sharin, la principale protagonista della pittura persiana, in costante movimento, che galoppa veloce, che attraversa terre e mari alla ricerca del suo amato Khurshaw. Donne della storia e dell’immaginario islamico che contrastano nettamente con il nostro pregiudizio sulla passività della donna araba.
E naturalmente eroina per eccellenza è Shahrazad. Fatema ce la fa riscoprire demolendo la visione occidentale che la vede come sensuale e ammaliatrice. L’astuta Shahrazad è infatti descritta fin dalle prime pagine del libro come una fanciulla che aveva letto libri di letteratura, filosofia e medicina. Conosceva a memoria la poesia e i proverbi dei saggi e aveva studiato i resoconti storici. Era intelligente, ben informata, saggia e raffinata. In Occidente invece già dalla prima traduzione in francese nel 1704, la Shahrazad intellettuale andò perduta, divenne una sciocchina tutta creme e veli.
E dal confronto tra donna araba e donna occidentale Fatema arriva con sottile ironia a una tesi provocatoria: non solo le donne musulmane ma anche quelle occidentali, sono chiuse in un loro harem, sono nascoste da un loro personale chador, sono costrette a una diversa eppure ugualmente perenne frustrazione. Sono costrette alla «tirannia della taglia 42», quindi a essere perennemente giovani, a essere valutate per il permanere della giovinezza e bellezza
«Fu in un grande magazzino americano, nel corso di un fallimentare tentativo di comprarmi una gonna di cotone, che mi sentii dire che i miei fianchi erano troppo larghi per la taglia 42. Ebbi allora la penosa occasione di sperimentare come l’immagine di bellezza dell’Occidente possa ferire fisicamente una donna e umiliarla tanto quanto il velo imposto da una polizia statale in regimi estremisti quali l’Iran, l’Afghanistan o l’Arabia Saudita».

Coltissima, conoscitrice profonda della storia araba e della letteratura antica e del Corano, Fatema Mernissi è stata sociologa e studiosa dell’Islam. Ha completato la sua formazione alla Sorbona e alla Brandeis University negli Usa. Ha insegnato all’università Mohammed V di Rabat in Marocco
Ha condannato con forza leggi e sistemi patriarcali e si è sempre schierata a favore della libertà femminile, per lei perfettamente compatibile con il Corano. Un’idea portante del suo lavoro è quella di un femminismo arabo come autoctono e non come «importato» dall’Europa. Rivendica quindi con appassionato orgoglio le proprie origini e sostiene un femminismo che non distrugga le proprie radici e che ritrovi proprio nei testi sacri, reinterpretati, la sua ragion d’essere.
«Noi donne musulmane possiamo avventurarci nella modernità con orgoglio, nella consapevolezza che l’aspirazione alla dignità, alla democrazia e ai diritti umani e a una piena partecipazione alla vita politica e sociale del nostro Paese non deriva da valori importati dall’Occidente, ma è parte integrante della tradizione musulmana»(2).

Nell’Oroscopo di Fatima Sole e Mercurio sono in Bilancia e Luna e Venere, pianeti femminili, in Leone.
Credo che sia importante in questo momento storico ricordare le sue battaglie per la democrazia e i diritti delle donne nell’Islam e in nome dell’Islam. Fatema può bene rappresentare i valori della giustizia, della pace, della non violenza tipici della Bilancia.
Il pianeta del segno è Venere. Nel mito Afrodite è dea della bellezza, dell’armonia, dell’amore. E Mernissi vuole essere paladina delle donne e dell’amore. Paladina con il rigore dei suoi valori Bilancia, ma anche ardente del fuoco dei suoi pianeti femminili.
Nel 2007 è stato pubblicato il suo libro Le 51 parole dell’amore. L’amore nell’Islam dal Medioevo al digitale. Fatema sceglie di andare, ancora una volta, controcorrente, raccontando un mondo arabo che parla d’amore e ci mostra la ricchezza di sfumature per declinare in lingua araba questo sentimento. Ancora una volta si affida alla tradizione culturale araba. Innanzitutto Ibn Hazm, poeta e teologo dell’XI secolo riscoperto in tempi recenti e naturalmente l’esempio suggestivo di storie di donne incantevoli.
Del resto Fatema è nata nella città di Fez, nella quale è ancora molto forte la tradizione sufi dell’amore. Nei suoi romanzi troviamo la figura della nonna materna Yasmina, fortemente caratterizzata dal sufismo. Questa donna straordinaria, tratta dai suoi ricordi d’infanzia, vive in campagna, in uno spazio più ampio degli harem cittadini, e infonde nella nipote l’amore per la libertà, per i viaggi che fanno scoprire il mondo e riconoscere la meraviglia divina in ciò che ci circonda.
- Fatema Mernissi La terrazza proibita
- Fatema Mernissi L’harem e l’Occidente