1. La strada racconta
2. Un’altra goccia d’acqua
3. I bambini palestinesi stanno piangendo
4. Dato per scontato
5. Capaci di stupore
Partire non è mai facile. Lasciare la propria casa, le persone che si conoscono da sempre e i luoghi in cui si è cresciuti, è un gesto coraggioso. Ma nella vita bisogna avere coraggio, bisogna essere capaci di correre dei rischi altrimenti non ci sarebbero storie incredibili da raccontare e bellissimi libri di avventure da leggere. Quando poi si decide di essere abbastanza coraggiosi per partire è altrettanto necessario ritrovarsi capaci di stupore. Lasciarsi sorprendere, stupirsi, perché solo in questo modo si è in grado di imparare qualcosa di più dal luogo in cui si è ospiti. Non si può sapere tutto, c’è sempre un margine d’imprevedibilità che è comunque bene mettere in conto. Allo stesso modo è fondamentale lasciare da parte quell’inevitabile etnocentrismo che noi occidentali ci portiamo sempre dietro come la nostra ombra. Anche se intimamente siamo convinti che la nostra cultura sia la migliore in termini assoluti e che nulla possa reggere il confronto con la nostra “modernità”, la realtà è che ci sono altrettanti miliardi di persone che sono felici del proprio stile di vita e ugualmente e intimamente convinti che siamo noi quelli che stanno sbagliando tutto. Pertanto, è inutile farsi portatori di verità assolute, è sicuramente più efficace e produttivo armarsi di tutta l’umiltà di cui siamo capaci e cercare di capire il più possibile la cultura e le consuetudini del popolo che ci troviamo di fronte, lasciando la nostra mente libera di cambiare opinione su determinate questioni senza farsi condizionare troppo dall’ideal tipo che avevamo preventivamente creato sulla base delle sicuramente più limitate informazioni che avevamo a disposizione prima di partire. In questo modo evitiamo d’incorrere nell’inganno della profezia che si auto adempie selezionando solo quelle informazioni che confermano l’immagine ideale già in precedenza costituita.
Personalmente ammetto di aver fatto molta fatica a disfarmi di alcuni dei pregiudizi che mi portavo dietro nei confronti del popolo israeliano. Durante l’ultima settimana della mia permanenza in Palestina, avendo due giornate libere, ho deciso di visitare alcune città israeliane. Mi sono quindi recata a Nazareth, Gerusalemme e Betlemme. Come scrivevo in uno dei miei primi resoconti, quello dell’acqua è senza dubbio uno dei problemi principali che affligge il territorio palestinese, e per quanto ci siano le prove evidenti che la divisione di quest’ultima non sia assolutamente una spartizione equa, anche Israele soffre per la scarsità di questa risorsa. Nei bagni di tutti gli ostelli in cui ho trascorso le mie notti in territorio israeliano, cartelli con scritte a caratteri cubitali invitavano a ridurre al massimo gli sprechi, consigliando di non superare i quattro minuti per la doccia e chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti. Inoltre, nonostante città come Gerusalemme o Tel Aviv abbiano quartieri del tutto simili a quelli di molte città europee non ho visto neanche una di quelle zampillanti fontane decorative che saltano subito all’occhio nelle principali capitali del vecchio mondo.
Inoltre, per quanto la larga maggioranza della popolazione israeliana non ritenga un atto illegittimo quello di ampliare i territori sotto controllo israeliano a discapito degli abitanti palestinesi, ci sono anche molte persone che auspicano una convivenza pacifica ed una maggiore apertura nei confronti, perlomeno, degli abitanti della West Bank. Durante il mio soggiorno a Nazareth in particolare ho potuto riscontrare un sincero interesse verso la cultura e le rivendicazioni palestinesi. Al di là di alcune immagini e disegni ricorrenti sui muri della città facilmente riconducibili ad opera di palestinesi o simpatizzanti per la loro causa, anche all’interno di locali ed edifici ho incontrato saltuariamente la bandiera palestinese. Questo fatto non è rappresentativo dell’intero stato d’Israele nel suo complesso. In città come Tel Aviv o Haifa è notevolmente più difficile imbattersi in questo tipo di manifestazioni. Ammetto però che non mi sarei aspettata nulla di simile e vedere questi spiragli mi ha dato un po’ di speranza. In particolare, i proprietari dell’ostello in cui alloggiavo a Nazareth mi hanno positivamente colpita. Mentre stavo registrando i miei dati si è affacciata all’entrata dell’ostello una coppia di canadesi chiedendo indicazioni per la Moschea Bianca. Dopo aver risposto molto gentilmente la proprietaria ha fatto loro notare che probabilmente il loro abbigliamento non era dei più consoni per entrare nel luogo sacro dal momento che indossavano entrambi pantaloni solo fino al ginocchio e magliette a maniche corte. Baldanzoso e senza remore, l’uomo della coppia ha per tutta risposta estratto dal proprio zainetto un enorme scialle bianco con ricamata in diversi punti la stella di Davide. La proprietaria dell’ostello, evidentemente irritata, ha risposto loro che se fosse stata mussulmana e li avesse visti entrare ostentando un simbolo della religione ebraica in una moschea, luogo in cui le persone pregano e si rivolgono a Dio, sarebbe rimasta molto offesa e turbata da un tale gesto. Gli ebrei, così come i loro simboli religiosi e rituali, non rappresentano altro che, per la maggior parte dei mussulmani del territorio, i coloni invasori arrivati per cacciare famiglie mussulmane dalle loro terre in nome di una presunta profezia divina che vedrebbe questo territorio come legittimamente destinato al popolo ebraico. Storicamente i palestinesi non hanno avuto la possibilità e la forza sufficiente per ribellarsi a queste imposizioni, come qualsiasi altro popolo avrebbe fatto. Tuttavia, il poter professare la propria religione e il proprio credo è una cosa che ancora non sono riusciti a togliere loro. Non dimostrare il rispetto necessario nei confronti di quei luoghi in cui possono ancora ricordare e celebrare le proprie radici in un contesto socio-politico così delicato sarebbe stata, a suo avviso, una vera e propria provocazione. I due canadesi, non aspettandosi di certo una risposta del genere, un po’ infastiditi, hanno ringraziato per le informazioni e se ne sono andati. Io, in cuore mio, applaudivo.
F.S.
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