DUE FILM DAL DECAMERON. DALLA PESTE ALLA SPERANZA

di Rosalba Granata

Un’esperienza terrificante quella della peste del Trecento. La mortalità era altissima e completamente sconosciute le cure e le stesse cause dell’epidemia. Infausta congiunzione astrale? Castigo divino? O magari malefici degli odiati ebrei o delle pericolose streghe?

Peste di Firenze nel 1348, incisione dell’edizione del Decameron curata da Luigi Sabelli

È in questo contesto è collocato il Decameron.

Infatti Boccaccio parte proprio da qui. Dalla descrizione attenta, realistica, cruda fino a risultare impressionante degli effetti del morbo sui contagiati.

Poi passa agli effetti sulla società.

Come si comportano gli abitanti di Firenze?

I comportamenti erano i più diversi. Alcuni pensavano che vivendo moderatamente e allontanandosi dagli altri avrebbero evitato il contagio, altri, al contrario, si davano ai piaceri più smodati e andavano da una taverna all’altra «affermavano, il bere assai ed il godere e l’andar cantando attorno e sollazzando ed il sodisfare d’ogni cosa all’appetito». Molti poi se ne passeggiavano per le strade e pensavano di non essere attaccati dalla malattia in quanto portavano «nelle mani chi fiori, chi erbe odorifere e chi diverse maniere di spezierie, quelle al naso ponendosi spesso» 

E nella città non esistevano più le leggi «in tanta afflizione e miseria della nostra cittá era la reverenda autoritá delle leggi, cosí divine come umane quasi caduta e dissoluta tutta». Non avevano retto nemmeno i rapporti di umana pietà, si abbandonavano gli ammalati, non esistevano più legami né di amicizia, né di parentela, né di amore.

La pestilenza aveva portato a un totale sovvertimento delle norme del vivere civile.

Sette fanciulle e tre giovani, per sfuggire all’epidemia e allo sconvolgimento dei rapporti umani nella città, decidono di rifugiarsi insieme in una villa del contado.  A contatto con la natura conducono il loro tempo lietamente tra innocenti divertimenti e la principale attività è quella di raccontarsi novelle.

Ognuno dei dieci narratori racconta una novella ogni giorno per un totale di centro novelle che compongono un affresco ricco e variopinto di ogni aspetto della vita del tempo. Potremmo dire una grande Commedia Terrena. È infatti la prima opera letteraria in volgare in cui si afferma una nuova concezione del mondo rispetto a quella medievale, una visione laica del destino umano. È la «prima opera post cristiana in cui la trascendenza è abolita» (Salinari)

The Decameron, olio su tela del 1837 di Franz Xaver Winterhalter

Due trasposizioni cinematografiche

Due film di importanti registi sono tratti dal Decameron.

Il primo di Pasolini del 1971 e, circa quarant’anni dopo, nel 2013, quello dei fratelli Taviani.

Due epoche diverse, due diverse sensibilità artistiche, due diverse interpretazioni.

È chiaro quello che ha voluto esprimere Pasolini: ottimismo e gioia di vivere.

Lo afferma lui stesso, sottolineando come l’ottimismo di Boccaccio debba essere letto storicamente. Nel Trecento esplodeva infatti la rivoluzione borghese, era l’inizio di un’epoca nuova. E la borghesia era allora appunto classe rivoluzionaria, contrapposta ai poteri tradizionali: mondo feudale, nobiltà, chiesa.

«Ho ritrovato quella gioia (che nel Boccaccio è giustificata ottimisticamente dal fatto che lui viveva la nascita meravigliosa della borghesia) e l’ho, diciamo così, sostituita con quella innocente gioia popolare, in un mondo che è ai limiti della storia, e in un certo senso fuori della storia» (Pasolini)

Ninetto Davoli nel ruolo di Andreuccio da Perugia

È il popolo infatti per lui il depositario dei valori veri che le classi dominanti corrompono.

Pasolini, quindi, mette al centro la vitalità del mondo popolare, espressa nella corporalità e nella sessualità. Cinque tra le nove novelle che sceglie sono quelle con contenuto più licenzioso dell’opera.  

Possiamo quindi affermare che il film sia fedele al testo letterario?

Proprio per rappresentare la vitalità del mondo popolare, per preservare la solare gioia di vivere, Pasolini opera la scelta di spostare l’attenzione dalla borghesia al sottoproletariato.  Ma la borghesia era allora classe emergente mentre questo mondo, sicuramente vitale e solare, è, come abbiamo visto dall’affermazione di Pasolini, «ai limiti della storia, e in un certo senso fuori della storia» 

Per realizzare il suo intento il regista sceglie di spostare il luogo geografico e la lingua da Firenze alla colorita e vitalissima Napoli.

Tutte le nove novelle (e non solo quella di Andreuccio da Perugia) sono ambientate a Napoli e i dialoghi sono in napoletano, ritenuto un dialetto tra i più coloriti e vivaci. Inoltre la variazione che salta maggiormente agli occhi è la totale abolizione della Cornice. Viene spazzato via quindi il mondo elegante e gentile dei novellatori.

Pasolini decide invece di utilizzare due episodi-guida. Ciappelletto, interpretato da Franco Citti, suo attore preferito, e l’allievo di Giotto, interpretato da lui stesso, divengono vere e proprie cornici viventi.

Silvana Mangano nel ruolo della Madonna nel sogno dell’allievo di Giotto

È sicuramente significativa la scelta di Pasolini di entrare lui stesso nel film nella veste di allievo di Giotto, vestito come il Vulcano di Velázquez: grembiule di cuoio e fascia bianca sulla fronte. Scelta che sicuramente ci fa intravedere una chiave autobiografica. Vita e arte, cinema e pittura vengono in un certo senso a saldarsi insieme.

E l’allievo di Giotto, come Pasolini, getta sul mercato napoletano uno sguardo incantato nei confronti del brulicante mondo popolare nelle vie e nel mercato della città Vecchia. 

In ogni pausa di lavoro lascia gli affreschi della chiesa di Santa Chiara, esce dall’ambiente sacro per riempirsi gli occhi di «scene di vita», poi, ispirato, si ritira nuovamente nella chiesa e torna a dipingere il suo affresco(1).  

Nel 2013 esce il film dei fratelli Taviani ormai ottuagenari ma ancora ricchi di vitalità.

La peste. Scuola Medica Salernitana in una miniatura del Canone di Avicenna

La chiave interpretativa è già nel titolo: Meraviglioso Boccaccio. Meraviglioso appunto, qualcosa che desta grande stupore, incredibile a dirsi.

Al contrario di Pasolini che aveva completamente abolito la cornice narrativa, i Taviani la rendono elemento essenziale.

Il film parte quindi con scene di grande efficacia della epidemia di peste a Firenze. Da questo mondo corrotto, sconvolto fuggono i dieci giovani cercando, nel magnifico e luminoso scenario delle colline toscane della Val d’Orcia, di ritrovare la possibilità di vivere tra loro in armonia e in armonia con la natura.

Grande protagonista del film è la donna(2) e naturalmente centrale è il tema dell’amore, amore visto nelle sue molte sfumature, sempre amore terreno, antidoto contro le sofferenze e le incertezze dell’epoca. I registi ne colgono aspetti più casti e cortesi rispetto alla lettura più corporea e sessuale di Pasolini.

È Paolo Taviani che dà una motivazione di tale differenza. Non accetta la definizione di castità e piuttosto pensa che nel loro film «ci sia una sensualità sotterranea. Suggerita senza esibirla più di tanto»; invece per quanto riguarda il Decameron di Pasolini erano «tempi di battaglie per la liberazione sessuale, Pasolini ha costruito il suo bellissimo Decameron sulla rappresentazione del sesso, sul racconto dei corpi… Pasolini faceva questa battaglia, lui era una battaglia».

I giovani novellatori del Decameron in un dipinto di John William Watherhouse 1916. Art Gallery Liverpool

E come sempre nei loro film i Taviani ritengono che dal passato si possano cogliere ispirazioni per il presente. E su questo rapporto con il nostro tempo i due registi tornano in varie interviste.

«Osservando gli orrori del mondo oggi, come il clima sociale del nostro paese, abbiamo pensato a un ritorno della peste, sempre viva e presente in forme diverse. Siamo partiti da questo pensiero per costruire tutta la vicenda intorno a sette ragazze… La loro forza è la fantasia, qualità tipica delle donne… Perché per sopravvivere si può chiedere aiuto all’arte» 

«La sofferenza dei giovani di oggi è davvero grande… Con loro parliamo di questa sofferenza, ma anche della disperata volontà di non arrendersi, del bisogno di sogno, fantasia e speranza».

Parole ancora più attuali oggi

NOTE

  1. Interessante testo di Marco Marmeggi L’artista e il sottoproletariato del Decameron in Pagine Corsare
  2. Come del resto nel Decameron di Boccaccio che alle donne aveva dedicato il suo capolavoro

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