di Rosalba Granata
Pietà. Disprezzo. Indignazione. Rispetto. Sono diversi i sentimenti che prova Dante negli incontri con i dannati.
Per esempio nei confronti degli ignavi mostra assoluta ripugnanza mentre si sente coinvolto fino alle lacrime dal discorso di Francesca. Quando si trova davanti alla fiamma che racchiude Ulisse in Dante prevalgono curiosità e interesse uniti a rispetto. Si ferma davanti a lui e, attraverso Virgilio, gli chiede della sua ultima avventura.
Ulisse inizia a parlare e il suo discorso ci tocca profondamente.
Nemmeno gli affetti più cari per il figlio Telemaco, per la moglie, Penelope, per il vecchio padre riuscirono a tenerlo ad Itaca. Il desiderio di conoscere lo spinse ancora una volta per l’alto mare aperto.
Né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né il debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
(Inferno, Canto XXVI)
Quando raggiunge le Colonne d’Ercole, limite invalicabile per gli uomini, Ulisse è ben consapevole che occorre comunicare ai suoi compagni lo stesso ardore che è in lui per proseguire il viaggio e andare insieme oltre il confine umano.
Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
Quando venimmo a quella foce stretta
Dov’Ercole segnò li suoi riguardi,
Acciò che l’uom più oltre non si metta:
“O frati”, dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti all’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
E insieme si lanciano verso il «folle volo»
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo, […]
Possiamo mettere a confronto il viaggio di Dante con quello di Ulisse?
La chiave ci è data dal termine “folle”.
In questo modo Dante fa definire da Ulisse il suo viaggio.
Ma il poeta aveva già usato il termine “folle”. Torniamo al canto secondo(1), al momento in cui, temendo di non essere in grado di affrontare il viaggio nell’Aldilà, chiede a Virgilio di consigliarlo perché «Temo che la mia venuta non sia folle».
Questo termine quindi ci accosta e ci contrappone i due viaggi: quello di Dante, il pellegrinaggio verso la salvezza, e quello di Ulisse, il volo verso l’ignoto oltre i limiti consentiti.
Sfondamento cronologico. Il viaggio in letteratura, metafora dell’esistenza
Se ti metti in viaggio per Itaca
augurati che sia lunga la via,
piena di conoscenze e d’avventure…
non incontrerai Lestrigoni e Ciclopi,
e neppure il feroce Posidone,
se non li porti dentro, in cuore,
se non è il cuore ad alzarteli davanti.
(Costantino Kavafis)
Ulisse è sicuramente il personaggio, il mito che rappresenta emblematicamente il tema del viaggio. Gli ostacoli, le prove da superare, il mare con le sue creature meravigliose e con i suoi mostri, i porti e le isole e infine il raggiungimento della meta.
E Ulisse continua a parlarci dalle pagine della letteratura.
È un eroe così sfaccettato, è l’eroe dalla mente colorata come il dio Ermes, è l’eroe che continuamente si rinnova nel nostro immaginario.
Anche nel nostro blog in miti nel tempo (della rubrica astrologica) ne troviamo vari esempi:
Per Foscolo è l’eroe del viaggio e l’eroe del ritorno nel sonetto in A Zacinto ed è l’astuto ingannatore protetto dai potenti ne I Sepolcri.
Saba utilizza la similitudine con Ulisse per parlare di sé, del suo spirito inquieto che lo portava nella sua giovinezza a navigare per le isole dalmate.
Il crepuscolare Gozzano nella poesia giovanile Ipotesi ci propone un’ironica parodia dell’Ulisse dantesco, un Ulisse borghese che volge le vele verso l’America sperando di fare fortuna.
E uno dei fondamentali romanzi del Novecento è l’Ulisse di Joyce nel quale le peregrinazioni dell’ebreo irlandese Leopold Bloom sono concentrate in una sola giornata. Gli episodi hanno un certo parallelismo rispetto all’Odissea.
Nadia Fusini, riprendendo l’interpretazione di Eliot, afferma efficacemente che nel romanzo di Joyce, e in generale nella letteratura del Novecento, viene utilizzato l’ordine del mito «per dominare il caos del presente».
Molto interessante è nell’articolo di Roberta Merighi Ulisse chi era costui? il riferimento alla lettura di Horkheimer e Adorno nel loro testo Dialettica dell’Illuminismo.
Cosa può ancora oggi dirci Odisseo?
Vorrei proporre un poeta contemporaneo di lingua greca Giorgos Seferis(2) con Sopra un verso straniero del 1931.
Seferis parte da un verso di un sonetto del poeta francese cinquecentesco Joachin du Bellay «Heureux qui comme Ulysse a fait un beau vojage» per presentare poi una personale lettura del mito.
È un Odisseo particolarmente intenso e umano. È stanco, desidera raggiungere la sua casa. Mi colpisce la fisicità di questo fantasma, segnato dalla fatica del viaggio, dalla fisica che segna il suo corpo. Ha vissuto tante esperienze, ha combattuto mostri, mostri d’anima, ma è stato uomo come noi che ha lottato dentro al mondo e che quindi può insegnarci a costruire il cavallo di legno per la nostra personale battaglia. Ognuno di noi ha la sua Troia da conquistare, ognuno ha la sua Odissea da vivere.
Fortunato chi fece il viaggio d’Odisseo.
Fortunato se salda, alla partenza, sentiva
la corazza d’un amore distesa nel suo corpo, come
le vene dove mugghia il sangue.
D’un amore di ritmo indissolubile, invitto come
la musica, perenne
perchè quando nascemmo nacque e quando
moriamo, se muore, non lo sappiamo né altri lo sa.
Prego Dio che m’aiuti a dire, in un momento
di gran felicità, quale sia quest’amore:
siedo talora avvolto dall’esilio, e sento il suo remoto
mugghio come il suono del mare mescolato
al fortunale strano.
E si presenta ancora innanzi a me il fantasma
d’Odisseo, gli occhi rossi dal salmastro e da una brama
matura: rivedere ancora il fumo
che affiora dal calore della casa e il suo cane invecchiato
che aspetta sulla porta.
Sta, gigantesco, e mormora di tra la barba imbianchita parole della nostra lingua,
quale già la parlavano tremila anni fa.
Stende una mano incallita dalle gomene e dalla barra,
con la pelle segnata dal tramontano dall’afa e dalle nevi.
Sembra che voglia scacciare di mezzo a noi il Ciclope
titanico, monocolo, le Sirene che danno, se le ascolti,
l’oblio, Scilla e Cariddi:
tanti intricati mostri, che ci tolgono l’agio di pensare
ch’era un uomo anche lui che lottò
dentro il mondo, con l’anima e col corpo.
E il grande Odisseo: colui che disse di fare il cavallo
di legno – e gli Achei presero Troia.
M’immagino che venga a insegnarmi come fare un cavallo
di legno anch’io, per conquistare la mia Troia.
Mi dice l’ardua angoscia di sentire le vele della nave gonfie dalla memoria e l’anima farsi timone.
Ed essere solo, occulto nel buio della notte, a deriva
come festuca all’aia.
L’amaro di vedere naufragati fra gli elementi i cari,
dispersi: ad uno ad uno.
E come stranamente ti fai forte a parlare coi morti,
quando i vivi superstiti non bastano.
Parla… rivedo ancora le sue mani che sapevano, a prova,
se la gòrgone di prora era ben fatta
donarmi il mare senza flutti azzurro
nel cuore dell’inverno.
(Giorgos Seferis)
È il 1900 quando a Smirne nasce Giorgos Seferis, destinato a diventare uno dei più grandi poeti greci contemporanei.
Mi affascina il personaggio di Seferis.
Mi affascina per le peregrinazioni lontane dalla sua terra, sentendosi perennemente esule, straniero, uomo in esilio. Il sentimento dell’esilio, che aveva precocemente e drammaticamente sperimentato con l’esodo della popolazione greca dall’Asia Minore in seguito alla guerra greco-turca, divenne componente essenziale della sua poesia.
Tutta la sua opera poetica è ispirata dalla cultura della sua terra a cominciare da Omero e dai miti dell’antichità classica. Il paesaggio greco e il mito vengono a contatto, si intrecciano.
Fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1963, «per la sua scrittura distinta, ispirata da un profondo sentire per il mondo della cultura ellenica».
Nel discorso di accettazione del Nobel sottolinea il legame con la tradizione e la lingua greca ed il valore della poesia nel mondo contemporaneo.
«Appartengo ad un piccolo paese. Un promontorio roccioso nel Mediterraneo, niente lo contraddistingue se non gli sforzi della sua gente, il mare e la luce del sole. È un piccolo paese, ma la sua tradizione è immensa ed è stata tramandata nel corso dei secoli senza interruzione […]
Credo che la poesia sia necessaria a questo mondo moderno in cui siamo affetti da ansia e paura. La poesia ha le sue radici nel respiro umano: e cosa mai saremmo se il nostro respiro dovesse venir meno?
Oggi dobbiamo ascoltare quella voce umana che chiamiamo poesia, quella voce che rischia sempre di andare estinta per mancanza di amore, ma che sempre rinasce. Minacciata, trova sempre un rifugio. Rifiutata, rimette sempre radice nei luoghi più impensabili. Non fa distinzione tra luoghi grandi o piccoli; la sua patria è nel cuore degli uomini di tutto il mondo; essa ha la forza di scongiurare il circolo vizioso dell’abitudine».
(Giorgos Seferis, estratto del discorso di accettazione del premio Nobel)
Di Seferis mi affascina anche la coscienza civile.
Nel marzo 1969 prese posizione contro la dittatura dei colonnelli in Grecia. Nel suo discorso, che ebbe ampia eco internazionale, egli dichiarò appassionatamente che «questa anomalia deve finire».
Il 22 settembre 1971 il suo funerale si trasformò in una imponente manifestazione contro il regime. militare. «In un ventoso pomeriggio di settembre, sorvegliata da uno schieramento di polizia, una folla d’Ateniesi d’ogni età s’era adunata attorno alla piccola chiesa di Aghia-Ekaterini, a Plaka, per onorare il poeta. Quando la bara del poeta uscì dalla chiesa, la folla intonò un suo poema messo in musica anni prima da Mikis Theodorakis, poi si mosse compatta dietro al feretro verso il cimitero.
Fu una scena esaltante.
Atene si ridestava»(3).
Ancora un poco
e scorgeremo i mandorli fiorire
brillare i marmi al sole
e fluttuare il mare
ancora un poco,
solleviamoci ancora un po’ più su.(4)
Note
- Nel nostro blog, In viaggio – Dante pellegrino
- Giorgos Seferis, nato a Smirne nel 1900, si trasferì ad Atene per gli studi liceali ed ha studiato legge a Parigi. Traumatica fu la conclusione della guerra greco turca che con il trattato di Losanna del 1923 determinò l’esodo della popolazione greca dall’Asia Minore. Il 1925 fece ritorno in Grecia ed iniziò la sua lunga e brillante carriera diplomatica. Quando le forze naziste occuparono Atene, Seferis seguì il governo in esilio prima a Creta, e successivamente in Egitto ed in Italia. Tornò in Grecia dopo la liberazione, nel 1944. Nel 1962 assunse l’incarico di ambasciatore a Londra. Nel 1963 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura. Nel 1969 pronunciò alla BBC un discorso di totale condanna della Giunta dei colonnelli che si era insediata al potere in Grecia nel 1967.
- Sandro Viola, la Repubblica.
- Da Il Rifiuto.