di Ottorino Tonelli
«Fu un viaggio di nessuna difficoltà materiale, senza mari o frontiere da superare, attraverso regioni poco accidentate anche se deserte per collocazione geografica. Restarono a casa loro, Mercier e Camier, ebbero questa inestimabile occasione. Non dovettero cimentarsi, con maggiore o minor fortuna, con modi di vita stranieri, con una lingua, un codice, un clima e una cucina bizzarri, in ambienti che avessero, dal punto di vista della somiglianza, un sia pur minimo rapporto con quello a cui l’infanzia prima e l’età matura poi li avevano abituati. Il clima, anche se a volte inclemente (ma c’erano avvezzi), non superò mai i limiti del temperato, vale a dire di ciò che un uomo del loro paese, convenientemente vestito e calzato, può sopportare».
(S. Beckett, Mercier e Camier)
«Me ne mancano due, poi me le sono fatte tutte le capitali europee», mi disse Tizio con rammarico e con l’intento di raggiungere l’obiettivo: se San Pietroburgo, Leningrado, Pietroburgo o Mosca, Torino, Firenze o Roma… vai a sapere cosa gli mancava.
«Sono stato al Polo Nord», affermò Caio con orgoglio. Al Polo Nord? «Si, non è per niente facile, bisogna raccomandarsi, insistere e insistere, pagando salato, molto salato, finché un tale mi ha caricato su una moto slitta e mi ci ha portato!» Al Polo Nord? Che c’è al Polo Nord? «Niente, non c’è niente. A un certo punto si è fermato e ha detto: Questo è il Polo Nord». Molti Pinco-Pallo, dicono: «Sono stato a New York»… A New York dove? Perché è come dire «Sono stato in Toscana»: e ti viene di chiedere «Dove in Toscana?».
La città di New York conta più di otto milioni di anime e la Toscana intera meno della metà e fra Vinca e Radicondoli c’è una bella differenza. E se a domanda si risponde in politico-burocratese Abito nel Comune di Fiv… si vede il vuoto negli occhi del richiedente, e se si prova la risposta geografico-orografica In Lun... il vuoto negli occhi è totale.
Se «la cultura non dà da mangiare», come spudoratamente ebbe a dire uno dei nostri politici, è vero che ci si muove, ci si sposta di qua e di là per vedere, ascoltare e mangiare, in ogni luogo e ogni dove; per necessità o aspirazione si va dove c’è lavoro, o dove ti pagano di più, anche a Graz, per esempio, dove si può camminare in tutta tranquillità, svicolando fra tram, auto e camion, perché in prossimità delle strisce pedonali si possono chiudere gli occhi: tutti, proprio tutti, si fermano alla distanza di dieci metri dalle strisce pedonali e ti fanno attraversare. Neanche le biciclette che ti sfrecciano a pochi centimetri dai gomiti e dagli stinchi costituiscono un pericolo, sono tutti esperti e patentati: a dieci anni, maschi e femmine, devono superare l’esame per poter “guidare” la bicicletta.
Passo passo (Graz è bella e piccola) ci si può imbattere nella Libreria italiana dove comperare il libro di uno scrittore (italiano) che scrive di Trieste, prossima meta raggiunta in auto, con Filippo, un blablacarrista, che partì dalla lontana Puglia per andare a lavorare a Londra, per poi “avvicinarsi” in Olanda e poi “avvicinarsi” a Graz, per poi sperare di lavorare e giungere a Trieste dove l’amata, promessa sposa, l’attende.
A Trieste La Piazza Grande, ora col toponimo di Unità d’Italia, non è grande, è spaziale; si getta sul molo dove non ormeggiano né navi né barche a ostruire la vista sul mare blu intenso, che si vorrebbe ammirare per ore, e godere al tramonto del riverbero della facciata del palazzo rivestito a mosaico dorato. E non si può rinunciare alla visita del Museo Orientale (gratuito), e quello Ortodosso (gratuito), e al Revoltella (modico prezzo) che offre uno spaccato di cultura dal Settecento ad oggi. E poi fare un giro per le chiese: la Greco Ortodossa, la Cattolica di San Giusto, la Serbo Ortodossa, la Evangelico Luterana, la Sinagoga. Tutte frequentate, vissute e ben tenute.
Ma tocca ripartire e prendere il treno. Nel sedile di fronte una signora legge El Pais; in quello dietro un signore legge il Financial Times; a lato qualcuno legge Il Piccolo e dietro ancora qualcuno La Repubblica. Io leggo, con divertito piacere, L’anno del giardiniere scritto da un ceco novant’anni orsono, acquistato in uno storico bar letterario di Trieste.
A casa un agopunturista, tastandomi i polsi ha diagnosticato che gran parte della mia energia è assorbita dalla mente, «Lei pensa troppo», ha detto. E per non smentirlo, dopo aver risentito lo spudorato falso mantra «Prima gli ital…», mi ritrovo a pensare:
come sono fatti gli italiani?
quando sono italiani?
dove sono gli italiani?
perché sono italiani?
Aspettando Godot, penso. Provo a darmi una risposta. Che Beckett mi ispiri.