Il quarto Aperitivo a Tema di Metro-Polis, svoltosi domenica 19 aprile 2015 presso il Centro United Sport Due Madonne, è tornato a virare sugli importanti temi civici che più sentiamo ardere nell’urgenza dei tempi: ‹‹Un occhio dentro al carcere›› è stata l’occasione per cominciare a gettare le basi di un ascolto critico e consapevole della realtà carceraria bolognese.
Attraverso un approccio informale e coinvolgente siamo entrati in punta di piedi dentro i confini di Dozza1 e Pratello2, esploratori discreti di una dimensione mai troppo raccontata, mai troppo conosciuta. Abbiamo voluto costruire un incontro a più voci, affinché il mondo polisenso del lavoro e del volontariato all’interno del carcere potesse esserci restituito nella sua molteplice verità ed esperienza.
In questo viaggio ci siamo lasciati condurre da Giulia Tedeschi3, ottima padrona di casa, la quale ha dialogato con gli ospiti della serata: Giovanni Mengoli, prete dehoniano in prima linea nella tutela di minori stranieri e socio fondatore dell’Associazione U.V.a P.Ass.A (Unione Volontari Al Pratello ASSociazione d’Aiuto)4; Chanel, ragazzo ex-detenuto disponibile e schietto nel raccontarsi; e Massimo Ziccone, responsabile area educatori della casa circondariale Dozza.
Giovanni Mengoli ci ha immediatamente condotto all’interno delle mura dell’istituto penale per minorenni, proiettando il filmato “Il meglio di me”: un video realizzato dal gruppo dell’orientamento del carcere del Pratello, in collaborazione con U.V.A P.Ass.A e Volabo5. I testi, la musica, le voci che possiamo ascoltare appartengono ai ragazzi detenuti che hanno deciso di collaborare al progetto: ne è nata una canzone in tre lingue il cui video, nella sintonia di testo e immagini, è espressione della vita all’interno dell’istituto penale. Vi sono emozioni e sentimenti diversi in gioco, vi è la voglia e insieme la paura di uscire, l’ambivalenza del ‹‹vivere la vita al massimo››, l’alienazione in quel ‹‹non so mai che cosa fare anche quando c’è da fare››. Eppure risuona forte un messaggio di speranza, veicolato proprio dall’impulso a dare il meglio di sé, nonostante tutto, in qualsiasi circostanza, al fine di riscattarsi, soprattutto, agli occhi di se stessi.
Senza soluzione di continuità, la testimonianza di Chanel prosegue la narrazione della vita all’interno dell’istituto penale: è istrionico e divertente, sa parlare di fronte a un pubblico variegato e non sono ingenui i suoi tempi comici. Si dispiega nelle parole di Chanel tutta l’insopprimibile dimensione umana che sta dietro all’organizzazione, ai numeri e alle scelte politiche: ci costringe, con una sincerità limpida e disarmante, a guardare l’uomo dentro all’istituzione, a confrontarci con quei meccanismi psicologici che non possiamo che riconoscere come nostri. Il come questo ragazzo porge il suo vissuto tocca e apre: ciò che lo ha condotto in carcere, ciò che lo ha portato a laurearsi in giurisprudenza una volta uscito, quello che ha rappresentato e tutt’ora rappresenta l’esperienza della detenzione, i legami forti con progetti e persone di quel ‹‹dentro››. Un vero e proprio flusso di coscienza, leggero anche nella profonda drammaticità di alcune esperienze e forte nell’inevitabile impatto pedagogico della testimonianza.
È con Massimo Ziccone, generoso e preciso, che i dati relativi alla casa circondariale della Dozza ci colpiscono nella loro irrazionale realtà: a fronte della capienza massima disponibile, vi sono circa duecentoventi detenuti in più. A differenza dell’istituto penale minorile, alla Dozza non tutti possono partecipare alle attività proposte e chi, per ruolo e funzione, deve organizzare i percorsi educativi e culturali per i detenuti, si trova costretto a dover scegliere chi è più o meno adatto a una determinata attività, chi è più o meno pronto, più o meno idoneo. Si deve poi fare i conti con quelle persone che hanno pene detentive molto lunghe e con chi deve scontare un ergastolo: si entra qui in contatto con un’umanità reclusa per un’intera vita o per buona parte di essa, si dialoga con un radicale ripensamento dei propri confini e delle proprie esigenze, si è di fronte al riprogrammarsi della propria libertà entro i confini di una prigione. Non bastano impegno, professionalità e razionalità per approcciarsi a questo mondo; colpisce qui la categoria dell’ amore, che Massimo spesso utilizza nel racconto di se stesso e della Dozza: ‹‹io amo il mio lavoro››, un lavoro che è lotta incessante ma, in extrema ratio, amore.
Come suggeritoci da Paola Ziccone6 nel bell’articolo che ha deciso di donare a questo blog, occorre un ripensamento complessivo dell’istituzione-carcere: si deve depauperarla di quella dimensione di esclusione e oblio nella quale è stata saldamente inscritta, bisogna trarla da quell’identità di non-luogo in cui la si vuol far sprofondare. Si rende , dunque, necessario restituire quella dignità civica che compete a qualsiasi istituzione di questo tipo, fino a rendere ogni istituto detentivo una vera e propria risorsa per il tessuto cittadino.
Nel tendere a questa prospettiva, con quelli che sono i nostri mezzi e le nostre possibilità, abbiamo chiesto a Francesco Errani7 di collaborare con il nostro blog: nei prossimi mesi pubblicheremo una serie di suoi articoli sulla casa circondariale della Dozza, un percorso di conoscenza, consapevolezza e bellezza.
Mattia Macchiavelli
NOTE:
1. Casa circondariale di Bologna
2. Istituto penale minorenni ‹‹P.Siciliani››, colloquialmente definito “carcere del Pratello” dalla zona di Bologna in cui è ospitato.
3. Socia fondatrice di Metro-Polis e attualmente membro del Consiglio Direttivo dell’associazione
4. Associazione di volontariato che opera all’interno dell’Istituto Penale Minorenni ‹‹P.Siciliani›› e della Comunità per minori stranieri non accompagnati del Villaggio del Fanciullo a Bologna.
5. Centro servizi per il volontariato della provincia di Bologna
6. Ex direttrice del carcere minorile del Pratello, generosa amica di Metro-Polis
7. Consigliere comunale e socio fondatore di Metro-Polis
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