ANDREA CI HA LASCIATI. NON PERDIAMONE L’INSEGNAMENTO!

Un ricordo di Andrea Canevaro

di Angelo Errani

Ho avuto l’opportunità di lavorare per ventitré anni accanto ad Andrea. Nei ventidue precedenti avevo fatto il maestro di scuola primaria. Arrivai all’Università quasi casualmente, avendo presentato un progetto di ricerca di educazione all’immagine. Andrea era Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione e, senza aver mai sentito il bisogno di chiarirne le ragioni, abbiamo iniziato e poi continuato a collaborare: progetto dopo progetto, insegnamenti, cura delle relazioni con le Istituzioni, con le Associazioni, con le Famiglie del territorio.

Sono stato un uomo fortunato. Ho imparato tanto. Ne sono assolutamente certo: non sarei mai diventato la persona che sono senza Andrea.

Ci sono tre parole-chiave che segnano, e non certamente solo per me, il lavoro quotidiano a fianco di Andrea: studio, tenerezza, sobrietà.

Il ricorso ai suoi studi per orientarci nel cammino, spesso offuscato da paure e insicurezza, ha donato conforto a speranze, spesso vacillanti, e ha accompagnato l’operosità quotidiana, assai insicura.

La tenerezza nelle relazioni. Andrea citava spesso Giovanna Axia, che non limitava il significato della cortesia alle buone maniere: «La cortesia è un fenomeno semplice, inventato dalla umana saggezza, per alleggerire la strada che si percorre in compagnia».

È un sapere – la tenerezza – che consente di incontrarsi nelle rispettive diversità senza mai farsi del male e non limitando la conoscenza dell’altro a ciò che appare, ma considerandolo sempre come persona, mai chiusa nella prigione di una diagnosi o di un pregiudizio di incapacità e sempre aperta al divenire.

La sobrietà è stata lo stile con cui Andrea ci ha testimoniato il dovere della responsabilità nei confronti di una fragilità che caratterizza tutto e che, quindi, è anche nostra.

Nel ricordo che Andrea dedicò a Piero Bertolini scriveva:

«Se ci voltiamo indietro, possiamo vedere quanti impossibili sono diventati possibili. Cerebrolesi che erano ritenuti incapaci di pensare perché non parlavano […]. Persone Down per le quali sembrava impossibile crescere […] e tanti altri. Vorremmo forse credere che tutto il possibile sia terminato e che ormai i confini fra possibile e impossibile siano fissati in assoluto? Abbiamo finito di esplorare? Non dobbiamo più essere curiosi?»

Sono interrogativi in cui sentiamo che Andrea coglieva nel presente la presenza di un rischio. Non era nostalgia del passato, ma importanza della memoria per il futuro. Rispetto a quel passato Andrea riteneva che fosse cambiato il modello di riferimento. Registrava infatti il passaggio da un modello costruttivo a un modello competitivo. Il modello costruttivo ha costituito un riferimento in cui l’esclusione non poteva essere accettata come giusta (Don Milani, Basaglia, Canevaro e i tanti che hanno contribuito all’affermarsi della prospettiva dell’integrazione) e ha consentito a chi ne era escluso di essere compagno di banco, collega di lavoro, vicino di casa e di esperienze che hanno prodotto vicinanze, condivisioni, intrecci. È un modello che ha testimoniato la convenienza sociale e perfino economica dell’inclusione, essendo una prospettiva capace di valorizzare e, di conseguenza, trarre vantaggio dalle risorse che ciascuna persona può offrire.

Nel modello competitivo, l’individualismo efficientista e narcisista in cui siamo immersi e da cui siamo contaminati – anche senza che ce ne rendiamo conto – l’esclusione dei più deboli non è più una sconfitta e, purtroppo, registriamo un progressivo disincantato rispetto alla prospettiva inclusiva.

Ma Andrea ci invita a chiederci: «esiste solo il presente?» E ci suggerisce: «Insieme alle persone che vivono o rischiano l’esclusione o la marginalità riprendiamoci il tempo scandito come ieri, oggi e domani: apriamolo al percorso fatto e al progetto del percorso che faremo».

Andrea ci ha accompagnati nel tempo e ci offre l’opportunità di poter continuare a ricorrere al sostegno della sua guida: ricordando il suo stile, studiando i suoi scritti e fermandoci in silenzio a riflettere.

Andrea, come suggeriva Baden-Powell, hai lasciato il mondo un po’ meglio di come lo avevi trovato. Grazie Andrea.

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