PARLARE DI GIUSTIZIA CON LA GUERRA AI CONFINI.

Oltre ai corpi, la guerra uccide anche il pensiero, umiliandolo e imprigionandolo nel dolore, nella paura e nell’odio, sentimenti che purtroppo arrivano spesso a occuparne tutto lo spazio. È quel che vuole l’aggressore: disumanizzare le vittime per sottrarre importanza a quelle vite e poi spegnerle senza rimorsi e in modo che di loro non rimanga nulla.

Anche nelle situazioni più drammatiche diventa dunque fondamentale non lasciarci disumanizzare, perché, come ci ha insegnato Primo Levi, l’aggressore può anche prendersi tutto, ma non potrà mai sottrarci il pensiero. Pensare è una forma di resistenza.

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UNA GIUSTIZIA DIVERSA E POSSIBILE

Di Francesco Colombrita

Se a un gruppo disomogeneo di dieci persone chiedessimo che idea hanno della giustizia, che cosa sia insomma, sarebbe facile imbattersi in dieci risposte diverse. E probabilmente anche in un acceso dibattito. Il che dovrebbe impressionare, considerato che il potere giudiziario – e cioè l’esercizio della giustizia -, corre parallelo a quello legislativo ed esecutivo in ogni stato di diritto. Per cui si potrebbe osare dicendo che non esiste una narrazione condivisa di uno dei tre poteri cardine dell’ordinamento di uno stato moderno. Una cosa non da poco. 

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