di Ottorino Tonelli
A chi volesse cimentarsi nell’arte della scultura si porrebbe l’alternativa di fare un’opera «mettendo» o «togliendo».
Si elabora la scultura del «mettere» aggiungendo creta su creta fino a raggiungere la forma desiderata per fare un’opera che sarà poi di terracotta, di bronzo, o per valersene come semplice modello; si può invece creare una scultura partendo da un blocco informe di marmo, di legno o altro, «togliendo», con adeguati strumenti, il materiale in eccesso fino a farne scaturire la forma desiderata.
La pittura, volendo, la si potrebbe dire un’arte del «mettere», anche se in pratica si applica semplicemente del colore, cioè un pigmento con colla, sopra un supporto, indifferentemente carta, tela o altro.
Vero è che in tempi moderni, di tecniche ve ne sono a bizzeffe, e ben vengano, compreso il parassitismo artistico. Parassitismo è scrivere, ad esempio, un romanzo calcandolo su di un nome mitico dell’arte (Caravaggio, Leonardo…) o sfruttando l’etichetta di zuppe in scatola (Andy Warhol…), strappando manifesti per incollarli su di una tela (Mimmo Rotella…) ecc. ecc.
In tutto questo poliedrico fare d’arte, ben venga la commissione (l’acquisto) da parte del nostro Stato italiano di opere d’arte contemporanee, giacché non di solo passato si vive.
Per implementare la collezione d’arte collocata nella residenza ufficiale del nostro Presidente della Repubblica, l’ultima acquisizione è stata un’opera di Emilio Isgrò.
Isgrò, ancora una volta, come sua prassi consolidata, ha praticamente sconvolto il concetto pittorico e scultoreo che schematicamente abbiamo detto del «mettere» e del «togliere». L’ha fatto facendone, per così dire, un tutt’uno. E non solo.
Isgrò è solito prendere un testo stampato (pagina o libro che sia) a mo’ di tela e su di esso interviene cancellando parole e righe intere applicando il colore con un pennello o con un pennarello. Cioè a dire: «mette» il colore del pennarello e «toglie» le parole. Tutto d’un sol colpo.
Ma così facendo fa opera di parassitaggio: e cioè, alla maniera di un parassita usufruisce dell’esistente, di “altra” forma autonoma esistente, del già fatto per – semplicemente – “intervenirci” sopra. Quindi: se altri non avessero provveduto a scrivere e altri ancora a pubblicare un testo (carta, composizione del testo, tipografo e tipografia, rilegatura…) cosa mai potrebbe cancellare il nostro Isgrò? A dirla tutta, si potrebbe dire che il suo fare è anche opera di cannibalismo in quanto, sostanzialmente, fagocita quella cosa (testo pensato, scritto e stampato) che non è sua (tralasciamo il problema dei diritti d’autore).
Nell’occasione, per il nostro Parlamento e per noi cittadini tutti, Isgrò, al fine di esibire la sua opera censoria (cancellatoria?), ha ripescato niente po’ po’ di meno che la legge razziale del 1938, votata dall’allora Parlamento Italiano su proposta di Benito Mussolini, vidimata e pubblicata a firma dell’allora Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia Vittorio Emanuele III.
Vero è che quell’abominevole legge fu abolita in massima parte dal Ministro Badoglio per esplicita condizione dettata nell’Armistizio firmato con gli anglo-americani e che, per ripianare tutte le nefandezze implicite e susseguenti, ci vollero svariati decenni. Ragion per cui, l’aver ricordato quella legge, e l’averne rinnovata l’esecrazione, male non fa.
Il significato simbolico proposto da Isgrò è evidente.
Un noto leghista, assetato di notorietà, bruciò in pubblica piazza migliaia (a suo dire) di leggi inutili e superate: se dimenticò quella in questione, tracciamo un bel segno di pennarello sul suo nome, sul titolo di Deputato e ancor di più su quello, improprio, di Onorevole.
Il dilemma di come, quando e perché è politica ed è arte…