LEGGERE LA NAKBA – PARTE 1

di Federica Stagni

Quello che segue è il testo scritto da Federica Stagni e letto durante il nostro Aperitivo a Tema Leggere la Nakba del 14 maggio 2023.

L’evento di stasera mira a commemorare una storia omessa e nascosta, perché si sa, la storia la scrivono sempre i vincitori. Dopo l’Olocausto è diventato quasi impossibile occultare crimini contro l’umanità su larga scala. Il nostro mondo moderno, dominato dalla comunicazione, specialmente dopo l’avvento dei media elettronici, non permette più che le catastrofi prodotte dall’uomo rimangano nascoste al grande pubblico o vengano negate. Invece uno di questi crimini è stato quasi completamente cancellato dalla memoria pubblica mondiale: l’espropriazione delle terre dei palestinesi da parte di Israele nel 1948. Questa vicenda, la più decisiva nella storia moderna della terra della Palestina, è stata da allora sistematicamente negata, e ancora oggi non è riconosciuta come un fatto storico e tantomeno ammessa come un crimine con il quale è necessario confrontarsi sia politicamente sia moralmente. Questo evento viene ricordato dai Palestinesi come al-nakba la Nakba la tragedia. La commemorazione della Nakba è illegale in Israele e lo è anche in Germania, lo stato più sionista d’Europa, così come il BDS, il movimento per il boicottaggio disinvestimento e sanzione.


In Pulizia Etnica della Palestina, Ilan Pappé racconta le tappe che hanno portato all’espulsione di quasi 800.000 palestinesi dalla Palestina storica. Questo piano ha origini lontane che affondano nella storia della nascita del movimento sionista, un movimento che rientra nella cornice del colonialismo d’insediamento e che vede il coinvolgimento dell’elite cristiano-imperialista britannica, passando per il Congresso Sionista Mondiale e la conferenza di Basilea. Nel palazzo rosso di Tel Aviv, il 10 marzo 1948, in un freddo pomeriggio di fine inverno, un gruppo di undici uomini, dirigenti sionisti veterani insieme a più giovani ufficiali militari ebrei, diedero il tocco finale al piano di pulizia etnica della Palestina. La stessa sera venivano trasmessi alle unità sul campo gli ordini di effettuare i preparativi per la sistematica espulsione dei palestinesi da vaste aree del territorio. Gli ordini erano accompagnati da una minuziosa descrizione dei metodi da usare per cacciar via la popolazione con la forza: intimidazioni su vasta scala; assedio e bombardamento di villaggi e centri abitati; incendi di case, proprietà e beni; espulsioni; demolizioni; e infine collocazione di mine tra le macerie per impedire agli abitanti espulsi di fare ritorno. A ciascuna unità venne dato un elenco di villaggi e quartieri urbani quali obiettivi del piano generale.
Denominata in codice Piano D. (Dalet in ebraico) che è la quarta lettere anche dell’alfabeto ebraico, era infatti la quarta e ultima versione di piani meno sofisticati che stabilivano il destino che i sionisti avevano in serbo per la Palestina e per la sua popolazione nativa. I tre piani precedenti non avevano delineato chiaramente come la direzione sionista pensava di affrontare la presenza di una popolazione palestinese tanto numerosa che viveva sulla terra agognata come propria dal movimento nazionale ebraico. Quest’ultimo e definitivo progetto dichiarava in modo esplicito e senza
ambiguità: i palestinesi devono andarsene. Gli scontri con le milizie palestinesi locali fornirono il contesto e il pretesto perfetti per realizzare il progetto di una Palestina etnicamente ripulita. La politica sionista iniziò come rappresaglia contro gli attacchi palestinesi nel febbraio del 1947 e si trasformò in seguito in un’iniziativa di pulizia etnica dell’intero paese nel marzo del 1948. Presa la decisione, ci vollero sei mesi per portare a termine la missione. Quando questa fu compiuta, più di metà della popolazione palestinese originaria, quasi 800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi erano stati distrutti e 11 quartieri urbani svuotati dei loro abitanti. Il piano, deciso il 10 marzo 1948, e soprattutto la sua sistematica attuazione nei mesi successivi, fu un caso lampante di un’operazione di pulizia etnica, considerata oggi dal diritto internazionale un crimine contro l’umanità. Le fonti palestinesi e la storia orale indicano chiaramente che mesi prima dell’ingresso delle milizie arabe in Palestina, e quando ancora gli inglesi erano responsabili della legge e dell’ordine nel paese – quindi prima del 15 maggio –, le truppe ebraiche erano già riuscite a espellere forzatamente circa 250.000 palestinesi. Questa era la Nakba, ma non rimase mai limitata al tempo passato.
Kanafani, autore di cui leggeremo stasera, nato ad Acri, in quella che è ora Israele e assassinato dal Mossad a Beirut insieme alla nipote sedicenne con un esplosivo sotto la sua auto, assistette al massacro di Diir Yassin. La natura sistematica del Piano Dalet fu evidente a Diir Yassin, un villaggio pastorale che aveva sottoscritto un patto di non aggressione con l’Haganà a Gerusalemme, ma che fu condannato a essere distrutto perché si trovava all’interno dell’area destinata all’epurazione. A causa dell’accordo preventivamente firmato con il villaggio, l’Haganà, per liberarsi da qualsiasi responsabilità ufficiale, decise di inviare le truppe della Banda Stern. Nelle successive epurazioni di villaggi “amici” faranno a meno anche di questo stratagemma. Il 9 aprile 1948 le forze ebraiche occuparono il villaggio di Diir Yassin situato su una collina a ovest di Gerusalemme. Come irruppero nel villaggio, i soldati ebrei crivellarono le case con le mitragliatrici, uccidendo molti abitanti. Le persone ancora in vita furono radunate in un posto e ammazzate a sangue freddo, i loro corpi seviziati, mentre molte donne vennero violentate e poi uccise. Morirono intorno alle 170 persone. Naturalmente, a parte le vittime del massacro, decine di altri individui furono uccisi in combattimento e perciò non vennero inseriti nella lista ufficiale delle vittime. Comunque, poiché le truppe ebraiche consideravano ogni villaggio palestinese una base militare nemica, la distinzione tra massacrare gli abitanti e ucciderli “in battaglia” era di scarsa importanza. Tra le persone massacrate a Diir Yassin vi erano trenta neonati. Allora, la leadership ebraica annunciò orgogliosamente un alto numero di vittime, in modo da fare di Diir Yassin l’epicentro della catastrofe – un avvertimento per tutti i palestinesi: un destino simile attendeva coloro che si fossero rifiutati di abbandonare le loro case e fuggire. Nakba
Nel creare il proprio Stato-nazione, il movimento sionista non condusse una guerra che “tragicamente, ma inevitabilmente” portò all’espulsione di parte della popolazione nativa, ma fu l’opposto: l’obiettivo principale era la pulizia etnica di tutta la Palestina, che il movimento ambiva per il suo nuovo Stato. Alcune settimane dopo l’inizio delle operazioni di pulizia etnica, i vicini Stati arabi inviarono un piccolo esercito per cercare inutilmente di impedirla. La guerra con gli eserciti arabi regolari non mise fine alle operazioni di pulizia etnica fino a quando queste non furono completate con successo nell’autunno del 1948.
Questa storia è stata sistematicamente omessa e Israele ha compiuto svariati tentativi per cancellarla assoldando anche accademici ed esperti per legittimare la propria versione. Il popolo palestinese era distrutto ecco perché questa tragedia è stata ampiamente riportata nelle parole di scrittori e poeti. I letterati palestinesi per contrastare l’oblio hanno elaborato un’epopea di portata mondiale a partire da un dramma epocale. Il poeta Mahmud Darwish scrive:
Il nostro è un paese di parole.
Parla, parla
perché io appoggi il mio cammino su una pietra vera.
Il nostro è un paese di parole.
Parla, parla
per conoscere la fine di questo viaggio*

Questa poesia esprime tutte le difficoltà di costruire, ritornare, ma anche vivere nel proprio paese. L’oblio soffia incessante come un tifone sulla storia dei palestinesi, a più riprese scacciati e sistematicamente vessati nella loro terra. Le piante, le case, l’acqua e i permessi per lavorare, ogni cosa è usurpata, o assediata da mille ostacoli per rendere invivibile l’esistenza in Palestina. Stasera ripercorreremo una Nakba che continua fino ai nostri giorni attraverso medium letterario, la poesia e la prosa di un selezionato corpus di opere facendo della memoria collettiva e orale un atto di resistenza. Stasera i luoghi perduti con la Nakba sopravvivono in letteratura; la loro esistenza è resa eterna dalle testimonianze di poeti e scrittori che evocano la memoria orale di chi ha subìto la perdita, così i
loro ricordi continuano a vivere nel racconto e nei versi.

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