LA BIBLIOTECA DI BABELE LEGGE: GOLDA HA DORMITO QUI, DI SUAD AMIRY

di Rosalba Granata

Esausta, a letto, distesa sulla schiena in attesa che il mio livello di adrenalina si abbassi. 

La notte si annuncia lunga, molto lunga. 

A occhi spalancati fissavo la magnifica volta a crociera della mia camera da letto in casa di Rema e Alex. È da oltre vent’anni che vivono nella splendida dimora della famiglia Hindiyeh a Sheikh Jannah, un quartiere arabo di Gerusalemme Est di recente preso di mira dai coloni ebrei.

Mi sarebbe piaciuto credere che Rema e Alex avessero accolto con gioia che una cara amica fosse piombata in casa loro intrufolandosi dall’altra parte del muro di separazione. Per di più quella sera non ero certo stata di buona compagnia, visto che le acrobazie per insinuarmi “illegalmente” a Gerusalemme con l’aiuto di Huda, mi avevano completamente esaurita. Benché felici di vedermi, avevano commesso anche loro un “reato” offrendomi un letto (per la verità un materasso sul pavimento) nella loro bella casa… (Incipit) 

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LEGGERE LA NAKBA – parte 4

di Federica Stagni

Quello che segue è il testo scritto da Federica Stagni e letto durante il nostro Aperitivo a Tema Leggere la Nakba del 14 maggio 2023.

LEGGERE LA NAKBA – PARTE 1
LEGGERE LA NAKBA – PARTE 2
LEGGERE LA NAKBA – PARTE 3

GIORNI NOSTRI
Quella sionista è una forma di colonizzazione perdurante e antistorica che ha effetti diretti sui rapporti regionali e internazionali e sulla vita di milioni di persone nell’intero pianeta, perché, come sappiamo, la diaspora palestinese è ovunque.

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LEGGERE LA NAKBA – PARTE 3

di Federica Stagni

Quello che segue è il testo scritto da Federica Stagni e letto durante il nostro Aperitivo a Tema Leggere la Nakba del 14 maggio 2023.

LEGGERE LA NAKBA – PARTE 1
LEGGERE LA NAKBA – PARTE 2

INTIFADA E OSLO
I Palestinesi non sono però rimasti inerti davanti a questo susseguirsi di tragedie e nel 1986 hanno dato vita a una rivoluzione di massa, l’Intifada, caratterizzata da scioperi, proteste e mobilitazioni in tutta la Palestina storica che chiedevano la fine dell’occupazione.

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LEGGERE LA NAKBA – PARTE 2

di Federica Stagni

Quello che segue è il testo scritto da Federica Stagni e letto durante il nostro Aperitivo a Tema Leggere la Nakba del 14 maggio 2023.

LEGGERE LA NAKBA – PARTE 1

Dopo il 48 Israele occupa più del 55% della Palestina Storica, La Striscia di Gaza è occupata dall’Egitto e la Cisgiordania amministrata dalla Giordania. L’ONU, con la dichiarazione 194 dell’Assembra, sancisce il Diritto al Ritorno dei Palestinesi espulsi nel 1948. Dopo il 48 Israele ha due importanti compiti. Primo, deve dimostrare che i Palestinesi non sono rifugiati ma scelsero di andarsene. Secondo, deve occupare il resto dei territori a cui puntava sin dall’inizio per creare la Grande Israele, Eretz Israel.

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LEGGERE LA NAKBA – La serata di Metro-Polis

di Roberta Merighi

Al-Nakba, in arabo ‘la catastrofe’, 75 anni fa. O meglio, iniziata, e mai finita, 75 anni fa. Il 14 maggio Metro-Polis ha voluto ricordare con una serata dedicata quell’evento, l’espulsione forzata del popolo palestinese dalla sua terra, e gli avvenimenti seguenti, attraverso la loro ricostruzione storica e dando voce alla letteratura palestinese. Lo ha fatto di fronte ad una sala gremita e attenta, segno dell’interesse e dell’attualità della proposta. E alla fine anche molto emozionata.

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LEGGERE LA NAKBA – PARTE 1

di Federica Stagni

Quello che segue è il testo scritto da Federica Stagni e letto durante il nostro Aperitivo a Tema Leggere la Nakba del 14 maggio 2023.

L’evento di stasera mira a commemorare una storia omessa e nascosta, perché si sa, la storia la scrivono sempre i vincitori. Dopo l’Olocausto è diventato quasi impossibile occultare crimini contro l’umanità su larga scala. Il nostro mondo moderno, dominato dalla comunicazione, specialmente dopo l’avvento dei media elettronici, non permette più che le catastrofi prodotte dall’uomo rimangano nascoste al grande pubblico o vengano negate. Invece uno di questi crimini è stato quasi completamente cancellato dalla memoria pubblica mondiale: l’espropriazione delle terre dei palestinesi da parte di Israele nel 1948. Questa vicenda, la più decisiva nella storia moderna della terra della Palestina, è stata da allora sistematicamente negata, e ancora oggi non è riconosciuta come un fatto storico e tantomeno ammessa come un crimine con il quale è necessario confrontarsi sia politicamente sia moralmente. Questo evento viene ricordato dai Palestinesi come al-nakba la Nakba la tragedia. La commemorazione della Nakba è illegale in Israele e lo è anche in Germania, lo stato più sionista d’Europa, così come il BDS, il movimento per il boicottaggio disinvestimento e sanzione.

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VOCI DALLA PALESTINA

Quelli che seguono sono i testi che verranno letti e interpretati durante l’aperitivo a tema Leggere la Nakba di domani, 14 maggio 2023.

Tre lettere dalla Palestina – Ghassan Kanafani

1. Lettera da Ramla

Ci disposero su due file ai lati della strada che collega Ramla a Gerusalemme. Ci ordinarono di alzare le mani e di incrociarle per aria. Quando uno dei soldati ebrei si accorse che mia madre cercava di tenermi davanti a sé per proteggermi con la sua ombra dal sole di luglio, mi tirò violentemente per un braccio ordinandomi di stare in piedi su una gamba sola e di incrociare le braccia sopra la testa, in mezzo alla strada polverosa.

Avevo nove anni allora e appena quattro ore prima avevo visto come gli ebrei erano entrati a Ramla. E mentre stavo lì, fermo in mezzo alla strada grigia, vedevo come gli ebrei esaminavano i gioielli delle donne, vecchie e giovani, e la brutalità con cui glieli strappavano di dosso. C’erano anche soldatesse dalla pelle bruna che ancora con maggiore zelo facevano la stessa cosa. Vedevo anche come mia madre guardava verso di me, piangendo in silenzio. In quei momenti avrei voluto poterle dire che stavo bene e che il sole non mi dava fastidio quanto lei invece immaginava.

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LEGGERE LA NAKBA

di Federica Stagni

Rema Hammami, antropologa e rifugiata palestinese di seconda generazione, descrive in questo estratto come si sentì quando si trovò per la prima volta davanti a quella che era certa fosse l’ex casa di suo nonno a Giaffa (ora in Israele):

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GIOCARE ALLA GUERRA

Riassunto delle puntate precedenti:

1948, anno dell’indipendenza per Israele, per i Palestinesi Nakba, la Catastrofe. Ben Guriom e gli amici suoi pianificano e attuano con mirabile efficacia il cosiddetto Piano Dalet, ovvero la pulizia etnica del territorio che ora è considerato Israele. Centinaia di villaggi distrutti e circa 800.000 palestinesi in fuga, convinti di poter presto tornare. A 64 anni di distanza, loro e i loro figli e nipoti vivono nei campi profughi in Cisgiordandia come a Gaza, in Siria come in Libano e in Giordania. Ad oggi, i rifugiati palestinesi nel mondo si calcolano intorno ai 5 milioni, contro i 6,1 milioni di palestinesi in Cisgiordania e Gaza. Quale futuro per queste persone? Nessuna possibilità di ritorno nelle loro case, perché  Israele, secondo la definizione ufficiale, è uno Stato democratico ed ebraico, il che implica la necessaria superiorità demografica degli Ebrei sulle altre minoranze. È solo in quest’ottica che si possono capire le politiche sioniste, solo così si comprende perché la Nakba non è mai finita, dall’occupazione completa della Palestina storica (Gerusalemme compresa) nel 1967, alle quotidiane demolizioni di case in Valle del Giordano come a sud di Hebron come a Gerusalemme Est, all’espansione delle colonie e all’appropriazione delle risorse idriche. La lente di lettura che, credo, unisca tutti i tasselli è proprio l’adagio il massimo di terra con il minimo di Palestinesi. Non è quindi mera conquista, la guerra si gioca anche sul piano demografico. È per questo che la West Bank non è stata semplicemente annessa allo Stato di israele: la popolazione non ebrea sarebbe più numerosa. Idem per Gaza: tutti questi territori vanno bonificati dagli Arabi. Una pulizia etnica strisciante e costante, creativa e diversficata: divide et impera, certo, ma anche ubi solitudinem faciunt, pacem appellant. Desertificare per ripopolare. Continue reading

FAR FIORIRE IL DESERTO (parte 2)

Sono in un appartamento di Tel Aviv. Seduti davanti a me ci sono Tom  e Schlomo, due giovani attivisti israeliani. Discutiamo da un’ora su ciò che meno conosco e comprendo, ovvero il punto di vista israeliano sull’occupazione. Occupazione che viene ridotta, anche lessicalmente, a conflitto, termine che suggerisce uno scontro tra attori sullo stesso piano. Alla fine, poi, il conflitto stesso viene normalizzato, diventa una quotidianità indifferente e allo stesso tempo si allontana, si fa silenzioso, viene digerito e interiorizzato.

L’intera società israeliana è pervasa dalla guerra, anche al suo interno. Il militarismo è l’altra faccia del sionismo. La mobilitazione totale ne è condizione necessaria. Schlomo racconta: «L’esercito è una presenza costante agli occhi dei bambini. Ricordo un gioco, alla materna, che consisteva nel collegare un’immagine ad un’altra immagine della stessa categoria. C’era un fucile disegnato, e bisognava tracciare una riga che portasse ad una colomba o ad un ramo d’ulivo. Alle elementari invece ci facevano scrivere letterine di ringraziamento ai soldati, e preparavamo per loro dei dolcetti da portare in caserma. Alle superiori spesso il supplente era una soldatessa che ci raccontava l’importanza e la bellezza di servire il proprio Paese».
Prosegue Tom: «L’esercito è la cosa più sacra, è intoccabile, non si può criticarlo in nessun modo. Ancora oggi, gli obiettori di coscienza possono evitare la leva obbligatoria solo per ragioni di salute o di salute mentale. Sennò vai in carcere, finché non vieni considerato non idoneo al servizio militare. Senza contare le pressioni familiari e sociali che devi subire se decidi di non prendere parte alle politiche di questo Stato di Apartheid».

Insisto, chiedo come sia possibile questo consenso così ampio intorno ad un disegno criminale che va avanti, imperterrito, da decenni. Tom ha una sua tesi al riguardo: «C’è un lavaggio del cervello costante che sfrutta il concetto di sicurezza. Parlare di continuo di sicurezza fa nascere la paura, e con la paura si può fare di tutto». Mi cita una frase attribuita nientemeno che a Herman Goering: «Ovviamente, la gente non vuole la guerra. Perché mai un contadino pezzente dovrebbe rischiare la vita in guerra quando il massimo che ne può ottenere è tornare alla sua fattoria tutto intero? Naturalmente, la gente comune non vuole la guerra; né in Russia, né in Inghilterra, né America, e per quello neanche in Germania. Questo è ben chiaro. Ma, dopo tutto, sono i capi della nazione a determinarne la politica, ed è sempre piuttosto semplice trascinare la gente dove si vuole, sia all’interno di una democrazia, che in una dittatura fascista o in un parlamento o in una dittatura comunista. […] La gente può sempre essere condotta ad ubbidire ai capi. È facile. Si deve solo dirgli che sono attaccati e accusare i pacifisti di mancanza di patriottismo e di esporre il paese al pericolo. Funziona allo stesso modo in qualunque paese».

2011palestinan_map1-300x204Non basta. Tom aggiunge, con voce ferma, che «in realtà la maggior parte degli Israeliani non è estremista come i coloni. È solo apatica: gli Israeliani impiegano moltissime fatiche e sforzi continui nel non volere vedere». Schlomo mi racconta allora della sua personale presa di coscienza: «Sono nato in kibbutz. Tutti erano molto militaristi e molto sionisti, lì dentro. Un giorno, ero ancora un bambino, vidi un villaggio abbandonato, poco lontano dal mio kibbutz. Cominciai a chiedere in giro perché quelle case fossero vuote, sembrava che non ci vivesse nessuno da decine d’anni. Nessuno mi rispondeva, sviavano le mie domande o mentivano. Fu allora che compresi che c’era qualcosa di nascosto, qualcosa di cui non si poteva parlare. Quello era uno dei villaggi ripuliti durante la Nakba, i cui abitanti e i loro discendenti vivono, forse, in un campo profughi da qualche parte, senza poter ritornare». Continue reading