Intervista a Patrizia Arcesilai e Milena Boldini, a cura di Rosalba Granata
Vogliamo soffermarci con Milena e Patrizia su alcuni punti dello spettacolo del 14 aprile 2019. Innanzitutto partiamo da come è nata l’idea della serata.
Il progetto è nato durante una cena tra amici. Il desiderio era quello di ricordare e festeggiare la Resistenza, così come avevamo già fatto per Metro-Polis due anni fa. Allora avevamo ricercato musiche, parole e immagini proprie di quel periodo storico, nel nome degli ideali e dei valori per i quali combatterono i partigiani.
Oggi, l’esigenza era di mettere in luce i segnali preoccupanti che si stanno verificando nel presente del nostro paese, segnali inquietanti di qualcosa che richiama il fascismo, magari in una forma diversa e aggiornata, ma la cui sostanza non muta.
La nostra democrazia, nata dalla Resistenza, è prima di tutto una democrazia antifascista e antirazzista… questo ci ha guidato nel percorso di costruzione dello spettacolo del 14 aprile:
riprendere il discorso di due anni fa e attualizzarlo, denunciando il rischio che i valori e gli ideali che animarono la lotta partigiana vengano spazzati via. E denunciare questo diffuso clima di odio, in cui siamo immersi, che accetta quasi con compiacimento e certo con soddisfazione, le politiche persecutorie verso i migranti, in un razzismo ormai divenuto normale.
E il titolo?
REsistenze ha in sé due parole: Resistenze ed Esistenze. Volevamo indicare le esistenze di tanti uomini e donne che resistono per difendere i loro diritti e per arrivare ad avere una vita degna e volevamo accennare ai tanti nuclei di resistenza che stanno cercando visibilità e che potrebbero aprirsi a un progetto comune di movimento e di cambiamento. In altre parole, ci piaceva ribadire con questo titolo che resistere è esistere ed esistere è resistere.
Quindi come vi siete mossi?
Abbiamo portato l’idea all’assemblea dei soci di Metro-Polis. Che l’ha accolta con entusiasmo. L’intento era di formare un gruppo di lavoro in cui si potessero incontrare sensibilità, esperienze, competenze diverse, in modo ancora più allargato e coinvolgente che due anni fa(1). Formare un gruppo in cui si potesse riproporre una delle ricchezze di Metro-Polis: l’incontro di generazioni diverse che trovano nella collaborazione e in un obiettivo comune il piacere e la leggerezza dello stare insieme e dar vita ad una serata intensa ed emozionante. Possiamo dire di esserci riusciti!
Quali scelte avete fatto per l’inizio dello spettacolo?
In apertura abbiamo scelto un video tratto dal film di Giorgio Diritti L’uomo che verrà. Sono scene molto forti che riproducono la strage di Marzabotto e che richiamano quindi una fase storica ben precisa e indicano le nostre radici, la continuità e la consequenzialità tra passato e presente. Un’altra parte dello stesso filmato l’abbiamo usata per il finale (ma ne parleremo dopo). Questo per dire che il film di Diritti fa da contenitore a tutta la serata, inizio e fine, con accenti del tutto diversi.
La musica che accompagna questa prima parte del video non è quella originale del film, ma la colonna sonora de L’ultimo dei Mohicani. Questo accostamento rendeva, secondo noi, meno realistica la scena, ma nello stesso tempo molto coinvolgente emotivamente. Era quello che volevamo, un inizio quasi ipnotico, che catturasse, che tenesse viva l’attenzione.
Sicuramente la musica è stato il cuore pulsante dello spettacolo il veicolo di emozioni forti. Le voci profonde di Roberto e Lauro, sostenute dall’accompagnamento musicale della chitarra e dalle percussioni di Antonio, hanno saputo comunicarci passione e speranza. Come sono state scelte le canzoni?
L’elemento portante e forse più complesso è stato trovare i pezzi musicali che facessero da spina dorsale a tutto lo spettacolo. La scelta è stata collettiva, ma la guida di tutta la parte musicale e la scelta ultima sono state di Roberto, a cui è toccato inoltre il lavoro di arrangiamento di ogni pezzo per adeguarlo alla sua chitarra e alle voci sua e di Lauro. Inoltre basilare anche il lavoro di Antonio che si è fatto carico sia dell’accompagnamento delle canzoni con le sue percussioni, che di sottolineare con i suoni dei suoi svariati strumenti i passaggi da una lettura all’altra e da una suggestione all’altra.
La canzone L’uomo nero di Brunori Sas è forse il manifesto di tutto lo spettacolo: fotografa l’oggi, le nostre paure e le contraddizioni che ci portiamo dentro. E lo spaesamento di fronte al ritorno di visioni ideologiche e morali che vorremmo morte e sepolte.
Rispecchia quello di cui dicevamo all’inizio: il rischio che i valori e gli ideali su cui si basa la nostra democrazia vengano azzerati e che il clima d’odio in cui siamo tutti immersi ci porti a essere un paese razzista e intollerante (L’uomo nero ha vinto il premio Amnesty International 2018).
Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, ha affermato: «I diritti umani sono una questione di comportamenti, di regole, ma anche, e forse ancora prima, di clima. Il clima di oggi è pessimo. Di questo clima parla la canzone di Dario Brunori (Brunori Sas) vincitrice dell’edizione 2018 del Premio Amnesty International Italia di Voci per la Libertà. E del veleno che contamina la vita pubblica e la convivenza civile. E di un’idea, l’idea aberrante del “noi contro gli altri”: contro gli altri che, essendo diversi da noi, fanno paura, sono una minaccia da tenere a distanza, da cui difendersi, possibilmente da eliminare»:
Ed hai notato che l’uomo nero
si annida anche nel mio cervello
quando piuttosto che aprire la porta
la chiudo a chiave col chiavistello
Quando ho temuto per la mia vita
seduto su un autobus di Milano
solo perché un ragazzino arabo
si è messo a pregare leggendo il Corano
E tu, tu che pensavi che fosse tutta acqua passata
che questa tragica, lurida storia
non si sarebbe più ripetuta
Tu che credevi nel progresso e nei sorrisi di Mandela,
tu che pensavi che dopo l’inverno
sarebbe arrivata la primavera e invece no
e invece no…
Dobbiamo davvero essere vigili. Pregiudizi e intolleranze nascono dalle nostre paure, si instaurano nelle comunità e nelle teste delle persone.
Avete usato il termine “fascismo” in che senso?
Umberto Eco qualche anno fa ha scritto e pubblicato un libro Il fascismo eterno.
«Il fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo». (Umberto Eco)
Ci siamo ispirati a questo concetto, al fascismo come rischio e pericolo attuale, per cui occorre prestare attenzione perché il fascismo non si ripresenterà in divisa “olio di ricino e manganelli”, ma può cambiare sembianze, adattandosi alle nuove situazioni, ai diversi climi culturali…
Subito dopo abbiamo proiettato un filmato tratto da Fascisti su Marte di Corrado Guzzanti del 2006 che, con ironia, alleggeriva la tensione ridicolizzando alcuni aspetti del fascismo.
Una posizione di rilievo appare avere nello spettacolo il discorso di Liliana Segre.
Infatti la citazione di Liliana Segre costituisce un collegamento tra le due parti dello spettacolo, la prima che richiama l’antifascismo e i pericoli attuali, la seconda che affronta il tema di migranti e quindi l’antirazzismo. Tenendo sempre presente che fascismo e razzismo sono due facce della stessa medaglia.
«La mia missione è non dimenticare. La mia missione è raccontare cosa è avvenuto veramente […]. Ecco da oggi ho la responsabilità di portare al Senato della Repubblica quelle voci che rischiano di disperdersi: finchè avrò la forza, continuerò a raccontare ai ragazzi la follia del razzismo. Senza odio, senza spirito di vendetta. Sono una donna libera. E la prima libertà è quella dall’odio.
Il razzismo non è mai sopito, oggi riemerge in molte forme, così come l’indifferenza generale, quando i senza nome eravamo noi ebrei. Oggi percepisco la stessa indifferenza per quelle centinaia di migranti che muoiono nel Mediterraneo».
Un momento molto suggestivo è stato quello in cui avete proposto la poesia “Casa”.
È una poesia scritta da una migrante e risponde al perché si emigra, perché si abbandona la propria casa, perché si mettono i figli su un barcone. L’abbiamo realizzata a più voci, con ritmo incalzante, contrapponendo la voce di chi è costretto ad abbandonare la propria casa alle reazioni di chi li vuole cacciare:
Dovete capire
che nessuno mette i suoi figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno va a bruciarsi i palmi
sotto ai treni
sotto i vagoni
nessuno striscia sotto ai recinti
nessuno vuole essere picchiato
commiserato
nessuno se li sceglie i campi profughi
o le perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo pieno di dolori
[…]
Andatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani aperte
hanno un odore strano
selvaggio
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro
a casa ci voglio tornare,
ma casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare la propria casa
a meno che non sia stata lei a inseguirti fino all’ultima sponda.
Nel vostro lavoro sono presenti anche importanti momenti di riflessione, come quelli suggeriti dal video di Sagnet e la lettera di Mimmo Lucano.
La testimonianza di Yvan Sagnet ci è apparsa molto importante per non fermarci unicamente alla denuncia, ma inserire anche esempi di integrazione e di lotta che hanno portato risultati importanti per l’intera comunità. Jean Pierre Yvan Sagnet è stato insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana con la seguente motivazione: «Per il suo contributo all’emersione e al contrasto dello sfruttamento dei braccianti agricoli».
Infatti il suo impegno e la sua lotta hanno portato alla legge contro il caporalato (Legge del 2016).
Mimmo Lucano è l’ex sindaco di Riace che ha trasformato un piccolo Comune calabrese in un modello innovativo di accoglienza e di inclusione dei rifugiati. Un tentativo di creare una comunità aperta, multietnica, per ridare vita ad un territorio quasi spopolato.
Per questo il Comune di Bologna, su proposta del nostro socio Francesco Errani, consigliere comunale, ha conferito la cittadinanza onoraria a Mimmo Lucano.
Abbiamo scelto di riportare alcuni stralci della lettera che ha scritto dopo essere stato arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e presunti illeciti nell’affidamento degli appalti per la differenziata (la Corte di Cassazione ha recentemente smontato tutte le accuse contro di lui):
«Ci dobbiamo augurare di mantenere viva la certezza che è possibile essere contemporanei di tutti coloro che vivono animati dalla volontà di giustizia e di bellezza, ovunque siamo e ovunque viviamo, perché le cartine dell’anima e del tempo non hanno frontiere». (Dalla lettera di Mimmo Lucano – ex sindaco di Riace)
Molto suggestivo è stato anche accompagnare la musica con immagini.
Abbiamo scelto di accompagnare ogni pezzo musicale con immagini, creando così una sinergia tra pensiero ed emozione.
Nella prima canzone Resistenza marzo 95 le immagini richiamano momenti di fermento, di denuncia, di lotta: manifestazioni per i diritti LGBT, delle donne, per il clima, per il lavoro, inoltre alcune immagini ricordano persone la cui vita e/o morte sono diventate simbolo di Resistenza: Giulio Regeni, Angelo Vassallo, Stefano Cucchi.
Il testo di Affermativo di Jovanotti è molto intenso, forte, è il racconto in prima persona di un giovane migrante durante il naufragio del barcone.
Jovanotti afferma: «Mi piacerebbe che si smettesse di usare la grande questione della migrazione come strumento di propaganda e si pensasse, prima di tutto, che si parla di persone».
Per illustrare un testo così drammatico non abbiamo usato fotografie, ma disegni e dipinti. Questo perché volevamo presentare la tragedia delle persone migranti in tutta la sua drammatica valenza, consapevoli che, oggi, l’uso massiccio delle immagini da parte dei media, toglie loro forza e valore.
Foto bellissime, foto artistiche di Sebastiano Salgado sono state usate per accompagnare Mio fratello che guardi il mondo. Immagini che mostrano uomini, donne e bambini nella loro terra, nel lavoro, nella difficile quotidianità. Non nei barconi! Non sono nati nei barconi!
Le immagini, associate alla musica incalzante e liberatoria, di Grande Sud mostrano il parallelo e le impressionanti analogie tra l’emigrazione italiana del Novecento e quella attuale dal sud del mondo.
Potremmo dire che la parte finale dello spettacolo apre alla speranza…
Il brano Apriti cielo attraverso l’arte di Van Gogh e i suoi meravigliosi cieli che si aprono davanti a noi, richiama e invita alla speranza.
Altrettanto la parte finale del film di Diritti suggerisce la possibilità di realizzare un futuro diverso e migliore.
Molto coinvolgente è stata la conclusione dello spettacolo…
Sì, gli applausi sono stati molto calorosi, poi quando tutte le persone erano in piedi è partito il canto Bella ciao, è stato molto emozionante sentirsi uniti in questo canto ormai divenuto simbolo internazionale di libertà.
Sullo schermo intanto spiccava l’immagine con la scritta di Calamandrei: «La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare», chiave di lettura dell’intero percorso.
Nota:
- Hanno partecipato alla realizzazione dello spettacolo: Beatrice, Filippo, Francesco, Laura, Milena, Patrizia A., Patrizia F., Rosalba, Simone, Valentina, Vincenzo. E i musicisti: Antonio, Lauro e Roberto. Un grande grazie a tutti da parte di Metro-Polis.