LA STREGA CATTIVA E LA FATA MNEMOSINA

di Angelo Errani

C’era una volta, non tanto tempo fa, un bellissimo paese: aveva il mare da tutte le parti e bellissime montagne alte e basse: montagne che arrivavano al cielo e colline tonde come panettoni. 

In quel paese abitavano tante persone: donne, uomini, bambine, bambini e anche nonni che sapevano tante cose, soprattutto sapevano fiabe con fate, orchi, bambini perduti, streghe, principesse e lupi. 

Ma un giorno accadde che tutta quella gente smarrì una parola, nessuno ricordava dove l’aveva messa: la parola “noi” non si trovava più da nessuna parte. Non c’era più nel vocabolario, non c’era più nei libri, non c’era soprattutto nella mente della gente. Un po’ alla volta si cominciò a pensare: «Pazienza, era una parola così vecchia, era tanto malandata che aveva sempre bisogno di essere curata». Si perse così perfino la voglia di cercarla e non ci si pensò più. 

Ci fu poi chi disse che c’era una parola nuova, una parola proprio bella e che procurava la felicità. Il suo nome era Io, era una parola facile facile, corta corta. La impararono tutti così bene che non si sentiva altro per le strade, alla televisione e perfino nelle case: «io voglio questo e vorrei anche quello», «io sono meglio di questo e di quello»; «l’importante sono io e degli altri non m’importa»; «la felicità è far quel che voglio io»; «io in fila non ci sto»; «io, io, io…» E mica solo lo dicevano, soprattutto lo facevano. 

La fata Mnemosina che abitava in un castello disegnato sulla copertina di un librone si sgolava a raccontare e a dire che così si finiva male. Quel librone l’aveva nascosto in una cantina buia la strega Lete, per non far scoprire l’inganno del suo terribile veleno, che chi lo respirava tutto dimenticava. Respirando quel veleno la gente s’era dimenticata di aver costruito delle bombe che, se le usi, finiamo tutti nelle tombe; s’era dimenticata che continuando a correre con l’auto e a produr rifiuti si avvelena l’aria e si sciolgono i ghiacciai; e, soprattutto, s’era dimenticata che non sapeva tante cose, come saper curare certe malattie nuove e contagiose, e non studiava più. 

Fu così, che quando il veleno ebbe fatto effetto, la strega mandò sulla terra un terribile folletto, si chiamava Covid, che, di nascosto, si posava sulle mani di chi non se le lavava e un po’ nei nasi e nell’aria che la gente respirava. 

«State a casa», dicevano i re e i governi, ma tanti si ammalavano e neppure a giorni alterni. Il folletto faceva morire soprattutto le persone molto anziane, perché erano quelle che qualcosa ancora ricordavano dei suoi passati inganni. 

Mnemosina vedendo tutto quel dolore si commosse fino in fondo al cuore. Con la bacchetta e le parole di magia pian piano fece ricordare che anche nel passato la strega aveva tante volte ingannato. E, cominciando a guarire, si cominciò a ricordarsi e a capire che per non esser soli la parola io ha bisogno dell’aiuto della n e così diventa n-oi. L’avevano dimostrato medici e infermieri che avevano curato il male portato dal folletto, l’avevano dimostrato quelli che stavano in casa per non ammalare chi doveva lavorare. 

Un po’ certi bambini l’avevano già capito, perché a giocare a nascondino ci voleva per forza almeno un amico. Se poi si voleva giocare al pallone ci voleva il portiere, l’attaccante e il difensore. Anche Greta, da lassù a Stoccolma, spiegava al mondo che invece di inquinare il mondo è meglio giocare a girotondo. 

Dagli adulti, si sa, si fa fatica a farsi ascoltare e più fatica ancora a farli ragionare. Si spera di riuscirci e alla fine che dicano tutti: «D’ora in poi staremo attenti e così tutti noi vivremo felici e contenti». 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.