PERCHÉ GUARDARE IL FESTIVAL DI SANREMO

di Mattia Macchiavelli

SANREMO è da sempre lo specchio del nostro paese.

È un po’ come la storia del berlusconismo: non è stato Berlusconi a plasmare l’Italia a sua immagine e somiglianza, bensì il contrario, egli ha rappresentato il distillato purissimo di uno spaccato di umanità, di tutta una serie di nostri portati antropologici.

Così il Festival, che ha sempre restituito il presente in cui abitiamo, una radiografia dei motivi di fondo della nostra vita nazionale attraverso cui testare il polso della situazione culturale. Lo faceva quando a vincere era Nilla Pizzi, lo fa oggi, quando a condurre c’è Amadeus.

Questo è un Sanremo che nasce e si sviluppa nell’entroterra del populismo delle destre, con vertici Rai espressione dell’allora governo giallo-verde, e come tale deve essere inquadrato. Chiaramente non si tratta di un peccato originale da scontare, nemmeno di un copione già scritto, però è innegabile che l’humus sociale in cui è germogliato abbia una certa valenza ancestrale nel costituirne il genotipo. E questo è un dato che dobbiamo tenere in considerazione, pur senza essere deterministi d’antan.

LE POLEMICHE che si sono sviluppate intorno alla kermesse canora si innestano proprio nell’alveo di questo clima.

Prima tra tutte, la presenza di Rula Jebreal, pietra dello scandalo perché troppo di sinistra (?), troppo politicizzata (?!), con opinioni troppo nette (?!?), quindi inadatta ad affiancare Amadeus. Si è scatenato il bailamme politico e social delle grandi occasioni, con invito alla giornalista a salire sul palco dell’Ariston, poi ritrattato, infine il nuovo dietrofront della Rai, che conferma Jebreal ma col vincolo di incentrare il suo monologo esclusivamente sul tema della violenza sulle donne, senza divagazioni. Bizantinismi.

Imperdibile, in secondo luogo, la conferenza stampa, in cui il direttore artistico, nel presentare le co-conduttrici, le definisce tutte «bellissime» – e utilizzo il termine «definire» nel suo senso più stringente, come principium individuationis: sono lì perché sono belle. Non pago, indica come merito degno di essere rimarcato la virtù del saper stare un passo indietro rispetto a un grande uomo, motivo per cui avrebbe scelto Francesca Sofia Novello (fidanzata con Valentino Rossi). Esternazioni che hanno, giustamente, scatenato le ire delle femministe e di chiunque abbia in mente un mondo non plasmato a immagine e somiglianza di un maschio, uomo, eterosessuale, bianco e cisgender; contestazioni approdate in una vera e propria campagna di boicottaggio della rassegna musicale.

Altro elemento di contesa, i testi della più o meno recente discografia di Junior Cally, uno dei cantanti in gara, canzoni in cui il rapper indugia in un’immagine della donna non priva di problematicità. Interessante come Marilù Oliva – già nostra ospite nell’Aperitivo a tema Zitta! Svalutazione della donna e violenza – inserisca la richiesta di esclusione del cantante all’interno di una cornice di consenso culturale più ampia, nella lettera aperta Caro Amadeus, ti scrivo a nome di molte donne.

Un Festival, dunque, irretito da un mix di vetuste pratiche politiche e mai stanche crociate contro l’autodeterminazione delle donne. Un Sanremo pieno di contraddizioni, però, perché, almeno a mia memoria, è il primo co-condotto da un numero importante di professioniste dell’informazione e del giornalismo: le donne-oggetto di baudiana memoria lasciano qui il passo a donne-parlanti, con una credibilità pubblica che travalica i confini dello spettacolo fine a se stesso. Tutto molto bipolare.

Anche LA PROPOSTA MUSICALE sembra coerente con quel disegno tradizionalista e ambiguo che andiamo dipingendo.

Solo sette donne in gara su ventiquattro artisti, due alfieri del sovranismo – Anastasio e Rita Pavone, almeno stando ai gossip e ai loro social network – , svariati testi sulla famiglia: figlie, nonni, padri, madri e via dicendo. Di Giordana Angi, l’unica lesbica dichiarata a calcare il palco dell’Ariston quest’anno, la canzone dedicata alla madre.

Nel complesso, una serie di brani dall’andamento piatto, senza particolari guizzi o originalità, testi che speriamo sprigionino il loro potenziale nel momento dell’esecuzione. Si rimpiangono gli abissi insondabili di Processo a me stessa,  la delicata poesia di Come foglie ma anche la più prosaica Paranza del Silvestri che fu. Sempre apprezzabile la scrittura di Gabbani, anche in versione introspettiva, il quale, però, non raggiunge le alchimie gustose di Il vento si alzerà, un brano altrettanto intimista e decisamente più audace. Godibile la calorosa quotidianità delle parole di Nigiotti e non scontata la proposta di Levante, pur con qualche scivolone. Elegante Tosca, come sempre, anche se si ha l’impressione che manchi un certo qualcosa; probabilmente il brano più interessante è quello di Rancore, di difficoltosa accessibilità ma con immagini che arrivano a segno.

DA TENERE D’OCCHIO certe situazioni, perché promettono fuochi d’artificio (ogni riferimento a Il terzo fuochista è puramente casuale).

Una menzione speciale non può che essere riservata a Elettra Lamborghini, la milionaria bolognese che sembra raccogliere tutta l’eredità della Fenomenologia di Mike Buongiorno per restituircela in sublimi lacrime di trash. Lei, che compare in tutti i peggiori reality di Caracas, poteva fregarsene e continuare a fare stories instagram sulla Controlla e macinare soldi coi suoi duetti internazionali e invece no, decide di calcare il più impietoso palcoscenico della TV italiana. Nella serata dedicata ai brani che hanno fatto la storia di Sanremo, poi, duetterà con Myss Keta, vera e propria icona della controcultura della Milano da bere. Per me ha già vinto questa settantesima edizione del Festival della canzone italiana.

Penso che il capitolo dei duetti sarà proprio quello che ci regalerà più soddisfazioni, soprattutto per i ritorni: Ornella Vanoni, la PFM e Arisa. Sinceramente curioso di vedere Achille Lauro cimentarsi in Gli uomini non cambiano (con Annalisa) e Nigiotti interpretare Ti regalerò una rosa con Cristicchi. Geniale l’idea di Levante di ricreare una triade, questa volta tutta al femminile, per riproporre Si può dare di più, insieme a Francesca Michelin e Maria Antonietta; operazione simile a quella di Rancore, che, con Durdast e La Rappresentante di Lista, canterà Luce. Un salto nel buio il medley dei Pinguini tattici nucleari. Infine, credo che Rita Pavone possa realmente tirare giù il teatro cantando con Minghi 1950, una delle canzoni più belle di sempre.

Dunque, PERCHÉ GUARDARE IL FESTIVAL DI SANREMO?

Perché Sanremo siamo noi. E perché questo delirio, capace di fermare una nazione per cinque giorni, ci fotografa e ci restituisce come poche altre cose riescono a fare. Guardare Sanremo è un po’ come una buona seduta di analisi: ti sconvolge, ma se sai trovare la strada giusta tra gli orrori può esserti molto utile.

Poi si può sempre scommettere su chi vincerà: i bene informati dicono Elodie, ma, si sa, in conclave chi entra Papa esce cardinale.

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