ALL’ARMI!!! I TEDESCHI!

tratto dal libro di Maurizio Casali MO I TIRA A TE – RACCONTI DI GUERRA E DI FAMIGLIA

Il grido d’allarme risuona all’alba: “All’armi! All’armi, i tedeschi!”.

Comincia così una lunga e drammatica giornata per dodici partigiani italiani e ventiquattro paracadutisti canadesi. Sono in una casa colonica nelle campagne vicino ad Alfonsine di Ravenna. Dormono tutti tranne un paio che fanno la guardia. La casa è isolata nella pianura della bassa ravennate che è piatta che più piatta non si può, è inverno ’44 -’45.

Assonnati saltano in piedi dai loro giacigli, sono giovani, scattanti, l’allarme non si dà a caso, dev’essere una roba seria, guardano dalle finestre, e quello che vedono non è bello.

E’ l’alba, c’è la nebbiolina del primo mattino. Attorno alla casa sembrano esserci tante spighe di grano, quando le piantine sono alte una decina di centimetri, e le si distinguono le une dalle altre. Italiani e canadesi guardano increduli: “Ma cos’è?”, si chiedono , ma la risposta già la sanno: “Sono fanti tedeschi che avanzano a raggiera verso la casa tutt’attorno”.

Sono tanti, centinaia, troppi.

Febbrilmente si confrontano: Cosa fare? La fuga è impossibile, sono circondati. Resistere all’attacco? E’ una lotta impari, loro sono trentasei gli altri saranno un migliaio. I canadesi dicono che l’unica possibilità è arrendersi. Rino Bendazzi, risponde: “Noi siamo partigiani, se ci arrendiamo ci tortureranno e poi ci fucileranno, morire per morire preferiamo morire combattendo”. I canadesi ripetono che loro si arrenderanno. Rino si avvicina alla porta d’ingresso, la apre, e dice all’ufficiale canadese: “Prego”. E porta la mano alla pistola, guardando fisso negli occhi il canadese che capisce. I canadesi si guardano e dicono che allora non combatteranno, così quando i tedeschi li sopraffaranno, potranno dire di non aver combattuto contro di loro.

Per fortuna sono ben armati, hanno diverse mitragliatrici, i partigiani rapidamente si dividono in quattro gruppi di tre, ogni gruppo ha una mitragliatrice. Si dispongono ai quattro lati della casa, che ha almeno una finestra per lato. È una delle tipiche abitazioni coloniche romagnole, con un piano terra e un primo piano. Le mitraglie vengono poste al primo piano, ogni gruppo di tre si divide i ruoli: mitragliere, addetto alle cartuccere, addetto al cambio delle canne della mitragliatrice.

I tedeschi avanzano.

I partigiani sono pronti, immobili, aspettano l’ordine del comandante, spareranno tutti assieme.

I tedeschi avanzano.

L’ordine è di sparare a raffiche brevi al primo di ogni fila, quando saranno ad un centinaio di metri. Il nemico non deve raggiungere gli ottanta metri, distanza da cui mortai e armi leggere sono micidiali, da una rapida valutazione agli assediati sembra che abbiano solo quelli: fucili, mitra e bombe a mano, forse qualche mortaio.

I tedeschi arrivano alla distanza utile, Rino Bendazzi urla: “ Fuoco!!”. Le mitragliatrici all’unisono cominciano a sparare una pioggia di proiettili sui fanti tedeschi, che cominciano a cadere uno dopo l’altro. Nella casa gli assediati, immersi nel boato delle quattro mitragliatrici che sparano all’impazzata guardano la scena increduli. I tedeschi non si mettono a correre verso la casa, non fuggono, avanzano come automi e quando arrivano a tiro, vengono colpiti dalla pioggia di proiettili e cadono sui camerati morti, creando mucchi di cadaveri.

Rino Bendazzi

Le canne delle mitragliatrici si arroventano, vengono sostituite rapidamente dall’aiuto mitragliere, nella pausa i tedeschi scavalcano i mucchi di caduti e poco più avanti quando le mitraglie riprendono a sparare ne formano presto altri. Avanzano come robot e muoiono uno dietro l’altro. E’ una scena irreale.

Il piano alto della casa è disseminato da centinaia di bossoli, che rimbalzano ovunque, i partigiani sparano, sparano con la disperazione di chi sa che quel giorno morirà. I tedeschi continuano ad avanzare come automi e a morire come se la cosa non li riguardasse, anche i canadesi sono sbalorditi: gli italiani sparano indemoniati, i tedeschi cadono uno dopo l’altro. Ora italiani e canadesi cominciano a pensare che forse non è finita, che forse ce la possono fare, i canadesi si mettono a ricaricare le cartuccere che stanno finendo, i partigiani pensano che forse non moriranno quel giorno.

Un soldato tedesco, arrivato al punto critico, d’improvviso alza le mani, il mitragliere riesce a deviare il colpo e spara a quello accanto che cade, il soldato butta il fucile poi continua ad avanzare. Altri soldati tedeschi buttano le armi, alzano le mani, vengono risparmiati dai mitraglieri e avanzano verso la casa. Si formano alcune colonne di soldati tedeschi che avanzano fino alla casa, con le braccia alzate, mentre gli altri cadono uno sull’altro. I partigiani continuano a sparare. Rino urla ai canadesi, che ormai collaborano attivamente, di pensarci loro ai tedeschi.

I tedeschi che si arrendono sono decine, il piano terra è pieno, i canadesi temono di essere sopraffatti dai prigionieri, che se pur disarmati, sono ormai troppi. Decidono di montare una mitragliatrice in cima all’unica scala che porta al piano superiore, e si ritirano sopra assieme ai partigiani italiani, che continuano a sparare.

Rumore di carri, cannonate, ora cosa succede? Sono carrarmati inglesi, che sentita la battaglia corrono in soccorso, hanno preso alle spalle i fanti tedeschi, che si danno ad una fuga disordinata.

E’ finita. Hanno vinto, incredibilmente. Si contano i prigionieri, saranno duecento.

Gli inglesi hanno fretta di liberare il campo di battaglia, temendo una reazione dei tedeschi. Dividono i prigionieri in gruppi di una trentina e ne fanno colonne tra due carri, uno davanti e uno dietro, poi partono rapidi verso le proprie linee. Cominciano a piovere proiettili di mortaio sparati dai tedeschi fuggiti, i tedeschi prigionieri che marciano a piedi hanno paura di essere colpiti dai propri camerati. I carristi inglesi gli ordinano di marciare anche se colpi di mortaio dovessero arrivare vicino, la marcia continua. Un colpo di mortaio arriva nei pressi di una colonna di prigionieri, che si sparpaglia e immediatamente viene falciata dalle mitragliatrici dei carri, le cui torrette girano a destra e sinistra per facilitare il compito dei mitraglieri.

I partigiani italiani, stanchi ed euforici per la vittoria e lo scampato pericolo, vengono trasportati in sicurezza, assieme ai parà canadesi, lontano dal campo di battaglia. Alla fine circa centocinquanta tedeschi furono fatti prigionieri, si dice che duecento tornarono alla propria base, gli altri rimasero sul campo crivellati dalle mitragliatrici.

Erano partiti da Alfonsine in millecento, rimasero a terra oltre settecento, per un errore di valutazione dei loro comandi. Era stato individuato un gruppo di partigiani, pensavano fosse una operazione facile, di routine, arrivarono a piedi per evitare il rumore di carri, probabilmente li volevano catturare vivi – almeno in parte – per poter ottenere informazioni.

Purtroppo per loro, quei partigiani erano stati raggiunti dai parà canadesi, con un carico di armi consistente, che comprendeva svariate mitragliatrici e molte munizioni. Se avessero avuto informazioni migliori, gli sarebbe bastata qualche arma pesante per vincere facilmente, ma tant’è. Durante la notte, soldati tedeschi minarono i corpi dei caduti e forse recuperarono qualche ferito, i morti rimasero li per mesi a marcire.

Questo è il racconto. Sergio non ha mai voluto dire quale fosse il suo ruolo durante la battaglia, sicuramente era uno dei dodici disperati che stavano vendendo cara la pelle. Il ricordo di quella battaglia lo ha accompagnato tutta la vita, ha sognato spesso, come in un incubo, quei soldati che camminavano imperterriti finché non venivano uccisi e cadevano sui camerati che li avevano preceduti, mia madre ricordava che erano incubi da cui si svegliava urlando.

Anni dopo si seppe che spesso ai soldati della Wehrmacht venivano date delle pastiglie di anfetamine, le chiamavano le pillole di Goering.

Sergio diceva che quella poteva essere una spiegazione.

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