LEGGERE LA NAKBA – PARTE 2

di Federica Stagni

Quello che segue è il testo scritto da Federica Stagni e letto durante il nostro Aperitivo a Tema Leggere la Nakba del 14 maggio 2023.

LEGGERE LA NAKBA – PARTE 1

Dopo il 48 Israele occupa più del 55% della Palestina Storica, La Striscia di Gaza è occupata dall’Egitto e la Cisgiordania amministrata dalla Giordania. L’ONU, con la dichiarazione 194 dell’Assembra, sancisce il Diritto al Ritorno dei Palestinesi espulsi nel 1948. Dopo il 48 Israele ha due importanti compiti. Primo, deve dimostrare che i Palestinesi non sono rifugiati ma scelsero di andarsene. Secondo, deve occupare il resto dei territori a cui puntava sin dall’inizio per creare la Grande Israele, Eretz Israel.

Israele ha sempre dichiarato che i Palestinesi avevano lasciato le loro case e i loro villaggi volontariamente su invito degli stati arabi confinanti. Utilizzando principalmente gli archivi militari israeliani, gli storici revisionisti sono riusciti a dimostrare quanto fosse falsa e assurda la pretesa israeliana che i palestinesi se ne fossero andati “volontariamente”, sono stati in grado di confermare molti casi di espulsioni di massa da villaggi e città e hanno rivelato che le forze ebraiche avevano commesso un gran numero di atrocità, massacri compresi.

La necessità di fornire prove della mancata pulizia etnica, emerse solo all’inizio degli anni ’60, come si è appreso di recente grazie all’accurato Lavoro di Shay Hazkani, un giornalista freelance che lavora per «Haaretz». Secondo la sua ricerca, durante i primi tempi dell’amministrazione Kennedy il governo degli Stati Uniti iniziò a esercitare pressioni su Israele per consentire il ritorno dei rifugiati del 1948 che avevano diritto al ritorno come sancito dalla dichiarazione ONU 194.

Già nel 1949, infatti, gli americani avevano fatto pressione su Israele perché consentisse il rimpatrio dei profughi e imposto sanzioni allo stato ebraico per il suo rifiuto di ottemperare tale richiesta. Il primo ministro Ben Gurion ne era terrorizzato; era convinto che, con il benestare degli Stati Uniti, l’Onu avrebbe potuto costringere Israele a rimpatriare i profughi. Perciò voleva che gli accademici israeliani conducessero ricerche per dimostrare con dati alla mano che i palestinesi se n’erano andati volontariamente, e a tal fine si rivolse a un istituto di ricerca israeliano. Il compito fu affidato a un giovane ricercatore, Ronni Gabai, a cui fu concesso di consultare documenti riservati, e che giunse alla conclusione che furono le espulsioni, la paura e le intimidazioni le principali cause dell’esodo palestinese.

Quello che non trovò era invece alcuna prova di una richiesta da parte della leadership araba affinché i palestinesi se ne andassero per far posto agli eserciti invasori. Ma è proprio qui che si infittisce il mistero. La conclusione appena citata apparve nella dissertazione dottorale di Gabai sull’argomento, e lui stesso la ricorda come quella inviata al ministero degli Esteri. Eppure, cercando negli archivi, il giornalista Hazkani ha trovato una lettera dello stesso Gabai al ministero degli Esteri in cui riassumeva le sue scoperte e menzionava come causa principale dell’esodo palestinese l’esortazione della leadership araba a lasciare il paese. Hazkani ha intervistato Gabai, che ancora oggi insiste fermamente di non aver scritto questa lettera che non riflette in alcun modo i risultati della ricerca che aveva intrapreso. Qualcuno, non è ancora chiaro chi, inviò una sintesi diversa del suo lavoro.

Ma nonostante questo Ben Gurion non fu soddisfatto: gli sembrava che la sintesi non fosse abbastanza penetrante, e si rivolse quindi a un ricercatore di sua conoscenza, Uri Lubrani – diventato in seguito uno degli esperti sull’Iran del Mossad – chiedendogli di svolgere un secondo studio. Lubrani a sua volta passò il testimone a Moshe Maoz, oggi uno dei principali orientalisti israeliani, che consegnò quanto richiesto e, nel settembre 1962, Ben Gurion ebbe finalmente quello che lui stesso descrisse come «il nostro Libro bianco», la prova inconfutabile che i palestinesi fuggirono perché era stato detto loro di farlo. Maoz in seguito portò avanti un dottorato di ricerca a Oxford, ma ammise in un’intervista che la sua ricerca fu influenzata più dall’incarico politico che gli era stato assegnato che non dai documenti che aveva effettivamente consultato. I documenti che Gabai poté esaminare all’inizio del 1961 furono desecretati alla fine degli anni ’80 e diversi storici, fra cui Ilan Pappé poterono vedere per la prima volta prove chiare di ciò che spinse i palestinesi fuori dalla Palestina, le prove della Nakba.

Nonostante ciò, i rifugiati palestinesi non hanno mai potuto godere del diritto al ritorno. La Nakba però continua. Dopo il ’48, l’élite politica e militare israeliana considerava quest’ultima come un’occasione mancata: un momento storico in cui Israele avrebbe potuto e dovuto occupare l’intera Palestina storica dal fiume Giordano al mar Mediterraneo. Fin dal 1948 importanti sezioni delle élite culturali, militari e politiche ebraiche cercarono un’opportunità per correggere quest’errore.

Ci sono stati diversi frangenti storici in cui il piano è stato al punto di essere eseguito, per essere ritirato poi all’ultimo momento. L’occasione migliore arrivò con la guerra del 1967. L’occasione venne data da un dispiegamento di forze egiziane sul Sinai, che secondo l’armistizio del 1948, doveva restare smilitarizzato. Israele ne approfittò per attaccare in maniera preventiva l’Egitto e la Siria, e sempre in maniera preventiva, smantellò tre quarti dell’aviazione giordana, che a quel punto entrò in guerra a fianco di Egitto e Siria. La guerra si concluse con l’occupazione da parte d’Israele, delle alture del Golan, la Penisola del Sinai, Gaza e la Cisgiordania e Gerusalemme Est, che viene dichiarata capitale unica e unita di Israele nel 1980. La Striscia di Gaza e la Cisgiordania così come le alture del Golan sono ancora sotto occupazione militare. Occupazione militare che dura fino ai giorni nostri, e che vede il popolo palestinese privato di diritti, umani, civili e politici. Uno degli artefici della vittoria fu Rabin divenuto poi presidente Israeliano e considerato una delle anime del processo di Oslo che soprannominò questo conflitto arabo israeliano, guerra dei sei giorni perché la conquista riecheggiasse la genesi biblica in cui Dio, per creare il mondo, aveva impiegato sei giorni. Questo secondo episodio viene ricordato dai Palestinesi come la Naksa la ricaduta, è il secondo esodo palestinese che riavvia il ricordo e la rielaborazione della Nakba.

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