DIARI DI PALESTINA

1. La strada racconta

2. Un’altra goccia d’acqua

3. I bambini palestinesi stanno piangendo

4. Dato per scontato

Sono le diciannove e trenta, dai minareti si diffonde l’ultimo litanico richiamo alla preghiera della giornata per i mussulmani. In ogni caso, anche chi professa un’altra fede, non può permettersi d’ignorarla. Questa cantilena, che come si è affrettato a puntualizzare Amir non è un canto, bensì una recitazione di versetti coranici, entra in tutte le case, da tutte le finestre, anche da quelle chiuse e ti ricorda di portare i tuoi ossequi a quel Dio che anche per oggi ti ha protetto, ti ha custodito e ha permesso che passassi una giornata serena, senza intoppi come quella precedente e, si spera, anche quella successiva. La devozione dei credenti mussulmani è ai miei occhi sorprendentemente profonda. Non tutti ovviamente si precipitano verso la Moschea non appena ne odono il richiamo ma se ne hanno l’occasione e un tappetino a portata di mano s’inginocchiano rivolti alla Mecca e recitano quei tanto famosi e ultimamente così spesso dibattuti versetti del Corano. Nessuno mette in dubbio che Dio esista, e chi lo fa rappresenta una non significativa minoranza della popolazione. Così anche io, quando sento questa litania provenire dagli altoparlanti ben affissi sui minareti, mi ricordo di Dio. Non mi è dato sapere se il Dio con il quale ho abitualmente parlato in questi anni sia lo stesso a cui si rivolge Hidaya quando alle cinque e mezza di mattina, svegliata dal primo richiamo della Moschea, si alza per pregare, ma ciononostante gli rivolgo un pensiero; “Grazie, restami accanto così anche domani se non ti è di troppo disturbo, sarebbe perfetto.”

Sarà che alcune persone vengono prelevate di notte dalle loro case e spariscono per mesi per poi essere ritrovate morte o massacrate a tal punto da rimpiangere di non essere morte, sarà che solo dodici anni fa i bombardamenti hanno quasi completamente distrutto la città di Jenin che ancora ne porta i segni e così i suoi abitanti, sarà che i fori dei proiettili degli edifici stanno lì a ricordartelo, ma la vita qua in Cisgiordania, West Bank non è data per scontata. Non è scontato tornare a casa tutti i giorni se per farlo devi passare un checkpoint; non è scontato pubblicare post su Facebook in cui critichi la situazione in cui versa il tuo popolo o semplicemente esprimi una tua opinione senza rischiare di essere arrestato per “minaccia alla sicurezza nazionale”, che evidentemente non corrisponde, però, con la tua sicurezza personale (e questa da chi viene assicurata?); non è scontato condannare la situazione igienico sanitaria dei palestinesi che abitano la striscia di Gaza, anche se non sei palestinese ma europeo ad esempio, senza che questo non abbia dure conseguenze sulle tue possibilità di viaggiare all’interno di Israele o di ricevere un visto turistico. Non è scontato viaggiare. Non è scontato andare a trovare la propria moglie israeliana in ospedale perché malata di tumore quando tu sei palestinese.

Questo è ad esempio ciò che è successo al mio amico Amir. Dopo essersi sposati lui e sua moglie Razan avevano deciso insieme che lei avrebbe rinunciato alla cittadinanza israeliana in favore di quella palestinese del marito (il contrario ovviamente non sarebbe mai stato permesso). Nel concreto questa scelta per lei avrebbe determinato l’impossibilità di visitare la propria famiglia, dal momento che non le sarebbe più stato consentito di entrare in Israele senza un permesso speciale. Per loro però questi limiti non ci sarebbero stati e avrebbero comunque potuto farle visita (età permettendo). Prima di poter rendere la cosa realtà Razan si è ammalata di cancro. Ovviamente tutti gli ospedali migliori si trovano sul suolo israeliano ed è qui che la famiglia di lei ha insistito affinché venisse curata.

Oggi Razan è guarita e ha tre figli stupendi per i quali, in seguito alla brutta esperienza, è stato scelto di adottare la cittadinanza israeliana dal momento che in Israele, quando si tratta di matrimoni misti con Palestinesi non è riconosciuta la possibilità della doppia cittadinanza.

Nonostante l’apparente lieto fine è importante ricordare che durante tutto il periodo del suo ricovero, al marito, il mio amico Amir, non è stato accordato il permesso di farle visita nemmeno una volta.

Ci sono situazioni peggiori, è innegabili. Molte famiglie contano al loro interno persone uccise ad opera di armi straniere o che hanno trascorso infinite notti nelle carceri israeliane ma anche questa storia mostra la crudeltà.

Mia zia è morta a causa di un tumore esattamente l’estate scorsa e non c’era nulla che mio zio desiderasse maggiormente che poterle stare accanto durante il periodo della malattia. Lo stesso era per tutti noi. Fino alla fine non sai se i momenti che stai vivendo con quella persona sono gli ultimi che ti verranno donati e nonostante la speranza di una miracolosa guarigione non venga mai meno sai benissimo che una malattia del genere potrebbe portare via la persona che ti sta così tanto a cuore. Quindi l’unica cosa che si desidera è essere presenti, poter stare vicini. Senza fare nulla di straordinariamente eclatante ma poter presenziare, stare accanto. Che poi fosse attraverso una partita a briscola o leggendo ad alta voce tutti i segni dell’oroscopo dell’internazionale non aveva molta importanza.

Amir questo non può darlo per scontato. E se già ci si sente terribilmente impotenti dinanzi ad una malattia come il cancro non posso neanche immaginare come si possa essere sentito lui di fronte a questa doppia impotenza. Impotente davanti ad un male tanto grande che l’essere umano non può controllare e impotente di fronte ad una discriminazione tanto arbitrariamente calcolata e lampante che può provenire solo dall’essere umano.

F.S.

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