di Francesco Colombrita
Nel distretto di Gaomi regna da tempo un signore dalla corona di rubini. Offre ombra dal suo capo, protezione tra le sue vesti, si tramuta in vino il suo sangue e, recisi i suoi arti, si creano giacigli e focolari. È un re che tutto osserva, nulla pretende, e offre la vita. È il sorgo rosso, che si estende per i campi a coprire la terra, inframezzato solo da fiumi e piccole strade battute.
Tra le sue braccia Mo Yan, premio nobel per la letteratura nel 2012, ha ambientato il suo primo grande romanzo. Un ragazzo si fa narratore e racconta la storia della sua famiglia, in particolare tratteggiando la figura del nonno Yu Zhan’ao, lavoratore, bandito, soldato, membro della resistenza e spirito libero e accompagnando alla narrazione della sua vita quella della nonna, in una grande storia d’amore che pare ambientata in un mondo di fiaba. La prosa allucinatoria di questo romanzo è costellata di descrizioni che oscillano tra l’iperrealismo e il simbolico, con tratti che si avvicinano al realismo magico senza sfociarvi. La narrazione è cruda, violenta, satirica e sprezzante, tanto che con un ritmo piuttosto incalzante trascina il lettore, pagina dopo pagina, a calarsi in una Cina a cavallo tra gli anni ‘30 e gli anni ‘70 del Novecento, dall’invasione Giapponese alla rivoluzione culturale. Un libro che arde, traboccando, lasciando a chi lo legge tra le narici un aroma lontano di vino di sorgo.