di Mattia Macchiavelli
BOLOGNA, 19/04/2020
DIARIO DI BORDO N°13
No. Non siamo in guerra. Non siamo soldatini che fanno il loro dovere in difesa di una patria la cui costruzione e la cui identità non si sa bene dove stiano o a che punto siano. Non dovremmo sentire la necessità del reggimento e non dovremmo volerci opliti. Non abbiamo bisogno di eroi belligeranti, né di martiri, né di monumenti in onore dei caduti, né di inni. Tuttavia, il discorso pubblico, politico e mediatico, è impregnato di questa metafora folle e vive di una retorica che ci mobilità – fuori e dentro – , che ci predispone a una guerra perenne, totale e quotidiana. In questo mondo ridisegnato da un virus e dalla nostra incapacità di gestirlo, diveniamo tutte sentinelle del potere: attente, alla finestra, pronte a gridare alla trasgressione, con un livore interiore sopito da un po’, ma riscoperto in questa cattività. Sentinelle in attesa di ordini, del cui contenuto poco ci importa, l’importante è che siano direttive emanate da un’autorità forte o percepita come forte.
Mi sono fatto l’idea che questa metafora, per me così inquietante, sia figlia di una contemporaneità che ripudia la complessità, che ha bisogno di cose semplici. Un virus che non possiamo chiamare per nome, una soluzione che probabilmente non c’è, orizzonti di senso da ridisegnare, modelli antropologici, sociali ed economici da reinventare: tutto questo è complesso e risponde alle regole della complessità, dovrebbe prevedere, quindi, anche risposte complesse. La guerra, invece, è semplice: esiste un nemico che va combattuto, esistono delle armi per combatterlo, esiste un terreno di battaglia su cui intraprendere la contesa. Il gioco è fatto. Antropomorfizzare il virus e farne un nemico è più semplice rispetto a vederlo come un coinquilino opprimente, eppure quasi tutte le fonti ci dicono che con questo evento noi dobbiamo e dovremo convivere. Non è tanto l’arcigno soldato che ci viene incontro, al fronte, per ammazzarci, è piuttosto il compagno di stanza, molesto, casinista, che ci prepara da mangiare cose a cui siamo allergici senza chiederci o dirci nulla. Non meno pericoloso il secondo del primo, però l’orizzonte di senso è completamente diverso. La guerra è più facile: più facile pensarla, più facile prepararla, più facile farla. Tutto questo mi spaventa moltissimo. «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà»: dovrebbe ripudiarla anche come metafora.
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