APPETIZER BOOKS: INSONNIA – TAHAR BEN JELLOUN

di Francesco Colombrita

Edito da La nave di Teseo, 2019, 272 pagine

Che pensare di un uomo che non riesce più a dormire e si accorge di poter trovar riposo solo commettendo una serie di omicidi? «Ho ucciso mia madre» recita l’incipit dell’ultimo romanzo di Tahar Ben Jelloun, si comincia da lì. Un cuscino sul viso di una donna morente, quella che lo aveva dato alla luce, riporta alla vita il protagonista di Insonnia. Dopotutto non ci sarebbe motivo di provare sensi di colpa per aver posto fine alla vita di una persona già moribonda, abbandonata sul letto mentre le giornate si susseguono infinite. Il problema è quando si va esaurendo la capacità di questo atto di portare al sonno l’assassino. Romanzo surreale e provocatorio, Insonnia ci porta a riflettere sul concetto di colpa ed espiazione. In un gioco delle parti simbolico e onirico l’autore prende per mano un lettore probabilmente riluttante e lo trascina tra le pieghe di temi che già furono cari a Camus nello Straniero

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MAROCCO: 3000KM INDIETRO NEL TEMPO

29 Luglio. 5.30 del mattino. Aeroporto di Marrakech.
Ad attenderci dovrebbe esserci Alì. Un simpatico marocchino che abbiamo contattato via web. Parla perfettamente italiano. Al telefono, durante le varie occasioni in cui ci siamo sentiti negli ultimi giorni, era gentilissimo e disponibilissimo. Non ha voluto neanche un euro di anticipo. E dovrebbe essere la nostra guida per i primi 900km di questo viaggio. Ci accompagnerà nel deserto del M’Hamid, vicino a Zagora.

Non ci era (quasi) mai balenata in testa l’idea che ci stesse fregando. O che non si sarebbe mai presentato fuori dall’aeroporto con il cartello “Matteo Busà”, come avevamo accordato.
Eppure erano le 5.30, noi eravamo atterrati da ormai un’ora. E di Alì neanche l’ombra. Di cartelli neppure. Lo sguardo fisso all’orizzonte. Il cuore che sobbalza ogni volta che una Jeep sbuca dalla curva. Ma niente di niente. Si fanno le 7.30. Ormai sono quasi tre ore che chiamiamo Alì al telefono e non riceviamo risposta. Basta. È giunto il momento di prendere atto del fatto che il Marocco ci ha dato il suo benvenuto. Siamo rimasti a spasso. Andiamo in centro a Marrakech con un bus e vediamo di trovare un’alternativa. Prima però è d’obbligo un selfie. Noi quattro e il salame che Alì ci aveva chiesto di portargli dall’Italia come regalo. Lo inviamo via WhatsApp alla nostra guida, con la didascalia “Che delusione. Non ci si comporta così!”. Che si senta in colpa, almeno!

La Piazza Jamaa el- Fna, la famosissima Piazza di Marrakech, alle 8.30 ancora dorme. Passano solo alcune macchine e qualche asino. Ci sediamo nell’unico bar aperto. E facciamo la nostra prima colazione marocchina, a base di caffè, succo d’arancia, pane e omelette. 1,50€ a testa.
Cosa facciamo ora in questi due giorni in cui avremmo dovuto essere nel deserto? Riusciremo a organizzare una cosa uguale con un’altra agenzia nel giro di un’oretta? Ci attacchiamo al primo WiFi e… 8 chiamate senza risposta su WhatsApp da parte di Alì. Lo chiamiamo al volo. Appena risponde inizia a urlare. “Scusate, scusate, scusate! Perdonatemi! Sono davvero senza parole. Sono mortificato!”. Veniamo travolti dal suo evidente dispiacere. Il suo assistente, che doveva venirci a prendere, aveva capito male l’orario di arrivo. Ed era ora in aeroporto ad aspettarci. Tutto è bene quel che finisce bene. Noi nel giro di qualche istante ritroviamo l’entusiasmo, che si era leggermente ammosciato a causa di questa partenza in salita. Ci gustiamo la nostra colazione come si deve. Ed intanto la nostra auto arriva a prenderci. Si parte! Il deserto è a 450km di distanza. Ci aspetta un lungo viaggio! Continue reading