Natura umana e Street Sharks

Salve sono Luca Ballandi, forse vi ricorderete di me per articoli quali À quoi ça sert le Camembert, o François Truffaut vs Massimo Boldi, lo scontro finale. Finita l’estate, è ora di rimettersi al lavoro e partorire un bell’articolo per questo mese – sì pieno di novità entusiasmanti che, così su due piedi, non saprei proprio elencarvi. Come la cara Erika, che scrive articoli da Copenaghen (e che d’altronde non ho nemmeno mai conosciuto), vi propongo qualche riflessione sulla Francia – e dalla Francia, più precisamente da Lione – riguardanti il modo di “filosofare” tipico dei nostri cugini d’oltralpe. Penso di aver già specificato che i miei talenti letterari difficilmente oltrepassano i limiti posti dalla mia miserabile esistenza, e che il mio malcelato egocentrismo mi spinge a parlare della mia esperienza personale e di me stesso (le due cose più importanti della vita, almeno dal mio punto di vista… … ok, dopo questa penso che la metà dei miei lettori abbia definitivamente deciso di abbandonarmi). Per i pochi che restano, l’ultima volta si parlava di Dissertation, ossia dell’esercizio filosofico più in voga in Francia, nelle Università, Grandes Ecoles, Classes Préparatoires. Per riassumere: invece di fondarsi sul “contrôle de connaissance” – il classico esame “interrogazione” – il sistema educativo francese fa ampio uso di tale esercizio, tanto in filosofia quanto in letteratura, storia, antropologia culturale, etc… Si tratta di un testo strutturato in parties (normalmente tre o quattro), che articola una problematica annunciata dall’Introduzione. In filosofia, la problematica nasce da una riflessione sul soggetto proposto dal prof o dall’istituzione: per esempio, soggetto da liceo: “Bisogna rinunciare all’idea che l’uomo abbia una natura?” [= faut-il renoncer à l’idée que l’homme a une nature?] ; problematica grezza :

  • da un lato, c’è una natura umana in sé inconoscibile – poiché sempre “pensata”, “riflettuta” e “culturalizzata” – che legittima l’idea d’una perfettibilità illimitata dell’uomo (idea moralmente e eticamente auspicabile, perché rende l’umanità trasformabile a piacimento; e tuttavia potenzialmente artificiale, giacché in contrasto sia con l’uomo “empirico” sia con quello descritto dalle scienze naturali);
  • dall’altro, c’è la datità biologico-evolutiva dell’uomo – presumibile dietro ogni condizionamento culturale e sociale – e l’idea d’una perfettibilità limitata (parimenti auspicabile, perché alla base d’una morale e un’etica pragmatica e empirica; e tuttavia potenzialmente sterile, poiché impedisce all’uomo d’esser padrone di sé stesso e del suo destino).

Si tratta di riflettere sulle relazioni problematiche che legano 1) un’ontologia realista e un’epistemologia monista – a cui può connettersi un approccio etico, morale e politico pragmatico all’uomo; 2) un’ontologia intellettualista (o idealista) e un’epistemologia dualista – a cui corrisponde un approccio etico, morale e politico teorico-idealista. In soldoni (problematica possibile) bisogna articolare una perfettibilità ideale che riposa sul “tutto è umano” e umanizza tutto (estremo inaccettabile, poiché annienta l’uomo), a una non-perfettibilità pragmatica che riposa sul “tutto è natura” e naturalizza tutto (parimenti inaccettabile, per lo stesso motivo). [AVVERTENZA! la problématisation da me proposta è proprio da quattro soldi; nel senso, qualsiasi prof di méthodologie avrebbe orrore d’un tale trattamento del soggetto, poiché “trop superficiel”]. Continue reading

Diete epiche

Nella letteratura greca antica, principalmente nell’epica omerica, i cibi hanno una funzione particolare, detta tipizzante. Essi, come gli epiteti che contraddistinguono i diversi individui – eroi, dèi e dee, re e regine e esseri mostruosi -, contribuiscono a designare in modo specifico le personalità.

Tuttavia, rispetto agli epiteti che circoscrivono in modo individuale un personaggio, come ‘pie’veloce’detto di Achille, ‘domatore di cavalli’di Ettore e ‘bella chioma’di Elena, facendo riferimento a caratteristiche specifiche del suo carattere, della sua storia o dell’aspetto, la dieta è tipizzante a un livello più generale, in parte potremmo dire sociale, in parte per ruoli. Questo significa che personaggi appartenenti a una medesima classe sociale, o ricoprenti gli stessi ruoli all’interno dell’epica letteraria, consumano o sono accostati agli stessi cibi e questi non si mescolano fra loro. Ciò significa che gli dèi gustano solo nettare e ambrosia mentre gli eroi si nutrono solo di carni arrostite e i personaggi mostruosi e violenti solo carni crude. E’ questa la prima distinzione delle diete che vediamo compiersi all’interno dei poemi omerici e che continuerà a connotare i caratteri dei personaggi nella letteratura greca successiva e non solo.

Consideriamo a titolo esemplare l’omofagia, ossia il mangiare carne cruda, considerata una qualità non umana. Il caso più eclatante nell’Odissea è rappresentato da Polifemo, il quale divora numerosi compagni di Odisseo senza cucinarli in alcun modo, e sicuramente questo atteggiamento enfatizza la brutalità e la violenza del ciclope, mostro con un solo occhio figlio di Poseidone. Altresì il divorare carne cruda caratterizzava i riti in onore di Dioniso, dio fra le altre cose della sfrenatezza. Durante questi rituali gli iniziati ai misteri dionisiaci, completamente fuori di sé e in preda a un grande furore, facevano pezzi con ferocia animali della taglia di una capra o di una pecora (atto detto in greco sparagmòs) e ne mangiavano i brandelli di carne cruda, tutto questo a imitazione dell’uccisione e dello smembramento di Dioniso a opera dei crudeli e violenti Titani, che poi ne mangiarono le membra. Il carattere spiccatamente selvaggio e ferino accostato all’omofagia persiste nella letteratura greca e latina, giungendo fino a noi nelle piùdiverse saghe di esseri mostruosi e sanguinari, come licantropi e streghe (per quanto riguarda i latini, si pensi reciprocamente al Satyricon di Petronio e alle Metamorfosi di Apuleio), che proprio nel mondo greco acquisiscono le loro fondamentali e immutate caratteristiche (tuttavia è bene precisare che la connotazione selvatica e non umana del consumo di carne cruda è trasversale a moltissime culture).

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Tradurre

La traduzione è forse uno dei compiti scolastici cui siamo maggiormente abituati, almeno in Italia, dove l’insegnamento del latino, e in minor parte del greco, è obbligatorio in molte scuole. In molti ricordiamo le interrogazioni e le liste di paradigmi da mandare a memoria, ma ancor piùnon si puòdimenticare il pesante dizionario che guidava nello svolgimento della temuta versione, fido compagno di guerra, e altrettanto sgualcito, ancora degno di un posto d’onore nelle nostre librerie, anche se ci occupiamo di tutt’altro e il latino non lo leggiamo dalla fine del liceo. Ma è forse questa, che in molti ricordiamo, una traduzione? Il punto sta in cosa è oggetto della traduzione, se i pensieri e i concetti oppure le parole e la sintassi. Forse, è vero, non si può avere uno senza l’altro, non si può trasporre un pensiero efficace senza un’esatta riproduzione dell’argomentazione e delle sue figure, ma a monte sta l’idea, che non è mai abbastanza ripetuta, che bisogna prima capire per poi tradurre e non tradurre per capire.
In altre parole, si può tradurre nella lingua di arrivo solo quello che si è compreso nella lingua d’origine. Ed è forse per questo che il ricordo che in molti abbiamo delle nostre ‘traduzioni’falsa la percezione di cosa sia la traduzione, non uno sforzo su regole grammaticali e parole dal significato oscuro che solo man mano che veniamo traghettando nel nostro sistema linguistico acquistano un significato, ma una conversione, una metamorfosi  di nuclei concettuali ben compresi da una lingua all’altra. traduzionePer cui forse dovremmo allontanarci momentaneamente dalla nostra esperienza personale su cosa sia tradurre e provare a reinterpretare questo compito magari rapportandoci di più alla conoscenza delle lingue moderne, in cui oggi siamo versati – almeno alcuni – più che nel latino. Tuttavia anche questo caso non ècalzante per mostrare la cosa a chi non sia traduttore di professione, perchése con il latino ci sforzavamo a ‘tradurre’in italiano il testo di una lingua non posseduta pienamente dai molti che si sono trovati a tradurla, con l’inglese o il francese ci troviamo a conoscere più a fondo una lingua (anche in questo caso un’idea di conoscenza completa è assai improbabile per i non addetti ai lavori) senza però che mai ci venga proposto l’esercizio della traduzione quale invece ci era somministrato nelle tante versioni di latino dell’adolescenza. Continue reading

Dissertation

Ecco, lo sapevo: 15 marzo 2014, e ancora non ho scritto il mio articolo per Metropolis. Mi dicevo: vabbé dai, lo farai più tardi, per ora devi pensare al tuo mémoire, e ai tuoi esami. Il 15 è arrivato, e qui, in questa sporca (eh sì, è piuttosto sporca) cucina di Villeurbanne – periferia di Lione-, mi trovo senza idee. Ah no, aspettate: una cosa volevo dirla! Lessi l’articolo di Erika a Copenaghen, altra espatriata come me, e mi stupii de fatto che anche lei citava l’articolo di Cavezzali. Questo Cavezzali è proprio una star! Insomma, sono bastate due o tre sciocchezze sugli italiani all’estero, e ormai il suo nome attraversa il Web come una freccia l’aere – santo cielo, questa similitudine proprio potevo risparmiarmela. Vi faccio un breve resoconto – così, per prender tempo: è il 15 marzo, e due giorni fa la mia permanenza a Lione ha compiuto due anni. Forse ricordate che, al mio arrivo, esplodevo di ammirazione per quel gran genio di Maurice Merleau-Ponty. Bene. Dal 12 marzo 2012 ad oggi, ho fatto un po’ di cose: ho lavorato come cameriere in un ristorante, poi come interinale in un hotel, poi ho passato un esame per il livello di francese, e ora continuo i miei studi di Filosofia all’Ecole Normale Supérieure di Lione. Che bellezza! direte voi. Beh, aspettate un attimo: mi trovo al primo anno di specialistica a 27 anni suonati, con i primi capelli bianchi in testa e la consapevolezza che “ogni or picchia alla tomba” (da Pers); terribilmente in ritardo nella consegna del mio mémoire (tesi di specialistica) su Merleau-Ponty e l’evoluzione; e, sempre a 27 anni suonati, con nessuna idea su ciò che farò nella vita. Pensate ancora “Che bellezza!”? Ma allora siete proprio cocciuti! – del resto, probabilmente non lo stavate affatto pensando: ma dovrò pur inserire qualche artifizio retorico per rendere la lettura un po’ più piacevole. La lettura un po’ più piacevole, sì. Perché, a dire il vero, oggi vi parlerò di qualcosa di terribilmente noioso – ringraziate quindi che vi abbia introdotto all’argomento in questa maniera un po’ colloquiale. Vi parlerò della Dissertation. Continue reading

Breve riflessione sul concetto di ‘Storia’

Se definissimo la storiografia come narrazione-descrizione della storia e poi la storia come l’insieme delle imprese compiute dagli uomini nel corso del tempo, commetteremmo un’imperdonabile errore, quello di ritenere che possa esistere una storia indipendentemente dal suo racconto, vale a dire che la storia si dia oggettivamente anche senza nessuno a testimoniarla e a narrarla. E’ questa tuttavia una tendenza comune, trasmessaci dalla presunta oggettività grigia e apatica di molte opere storiche degli ultimi duecento anni, peggio ancora quando si tratta di manuali scolastici, cui siamo abituati: la storia come un macigno alle nostre spalle, concreto e pesante, con una sua verità ormai già data per assodata, inconfutabile e indubitabile di questi tempi.

History-of-the-World

E’ questa una delle pesanti quanto pericolose eredità della cultura positivista, che fra i molti meriti ha anche il pesante vizio della classificazione, scordandosi che non a tutte le discipline sono dati oggetti di studio quantificabili, dunque inquadrabili una volta per tutte.  Continue reading

La vie Lyonnaise

Lyon-au-15ème-siecleA giudicare dalla sfilza di commenti lasciati all’articolo “Italiani all’estero, ecco come passano realmente il loro tempo”, di Matteo Cavezzali (su Il Fatto Quotidiano), l’exploit del giovane italico ha fatto scandalo tra tutti quelli che, come me, hanno lasciato – più o meno definitivamente: e non chiedetemi quanto più o quanto meno definitivamente io abbia lasciato l’Italia, perché proprio non lo so-  il bel paese. Diciamocelo: monsieur Cavezzali non era certo serio quando scriveva “Gli italiani all’estero girano solo con altri italiani, e i sardi solo con altri sardi”, o “cercano invano una pizza decente”. Ragazzi miei, non l’avete capito che stava scherzando?  Evidentemente, in molti l’hanno preso sul serio: “zitto scemo!”, “fatti un giro fuori dall’Italia e vedrai che ti perdi!”, “ Io qui sto molto meglio che a casa mia”, e via dicendo. Non so, ma ho come l’impressione che l’homo italicus, una volta fuggita la patria natia, si monti un po’ la testa e perda il senso dell’umorismo: forse perché, i primi mesi lontano dalla mamma ( lontano, nel mio caso, è una parola grossa: 4 ore di macchina da Lione al confine con l’Italia), sono un po’ duri per tutti. Leggo sul mio diario di bordo, data 14 aprile 2012: “Eccomi qui, al parco della Tete d’Or. Solo come un cane. Voglia di tornare a casa…”. Continue reading