di Francesco Colombrita
Da inizio anno, Metro-Polis ha rubato a ogni Aperitivo A Tema lo spazio di quindici minuti, che si è deciso di spendere per ripercorrere la nostra identità associativa usando parole che fossero simboli e collettori di frammenti del nostro vivere comune. Il percorso è iniziato con la parola “finestra” che Valentina ha sviscerato per noi; è continuato poi con “ponte”, di Patrizia; “bicicletta”, di Beatrice; “sorriso” di Simone e “Incontri-storie” di Rosalba.
La parola che spetta a me è “libro”. Era inevitabile che le pagine colme d’inchiostro e rilegate in tomi che noi visualizziamo come immagine, non appena sentiamo questa parola, finissero in questo percorso. Metro-Polis, dopotutto, ha fin dalla nascita un rapporto particolare con i libri e la letteratura e le storie che essi contengono. A ogni socia e a ogni socio viene proposto, al momento dell’iscrizione, di portare immaterialmente cinque titoli in dote (non solo titoli di libri ovviamente, ma molti di quelli arrivati lo sono), allo scopo di creare una grande biblioteca collettiva. Il Mercatino delle buone cose di pessimo gusto è sempre ricco di libri di ogni genere e da quest’anno si è avviata la Biblioteca di Babele, un club del libro all’interno del quale si sta svolgendo un percorso attraverso 12 titoli legati al tema del viaggio.
Ma quell’immagine che si crea nella nostra mente cosa ci racconta di ciò che è un libro? Una definizione piuttosto celebre, e forse anche sbrigativa, è quella esposta da Amedeo Benedetti nel suo Il libro. Storia, tecnica struttura: «Il libro è il veicolo più diffuso del sapere». Si parla dunque più di funzione che di forma e materiali dell’oggetto, malgrado è forse per noi più facile ricorrere a questi ultimi aspetti per identificarlo. L’etimologia della parola ci riconduce al latino liber, “corteccia”, e lo stesso per la parola inglese book, la cui radice rimanda al legno di faggio, si indica il supporto per la funzione, contrariamente a quello che fa Benedetti, una sorta di metonimia che attraverso i secoli è giunta a noi lasciando però intatta l’urgenza che sta dietro all’attività dello scrivere: la necessità impellente di trasmettere informazioni, storie, emozioni, pensieri.
I supporti sono cambiati nel corso del tempo ma il raccontare, e il conservare il racconto stesso, rimangono prerogative immutabili umane. Questo perché le storie che condividiamo e tramandiamo creano il nostro vivere comune, la nostra realtà condivisa, il nostro insieme di valori e consapevolezze. Fu così nell’antichità dell’Europa, dove gli aedi ripetevano le storie di Omero e per secoli se ne trassero insegnamenti e modelli, ed è così nella modernità dove la letteratura (come altri strumenti di trasmissione) ci dà schemi di riferimento da imitare o da ridiscutere, scatenando riflessioni e imponendoci di elaborarle.
Questa attività non è solo pervasiva nel nostro vivere di tutti i giorni ma è anche certamente uno dei perni di Metro-Polis. E il modo in cui mi piacerebbe declinare questa riflessione è che quei mattoni che tramite i titoli in dote, i nostri aperitivi a tema e le nostre varie attività stiamo portando a Metro-Polis per costruirci, siano in realtà fondamenta attraverso le quali noi a nostra volta ci facciamo libri e raccontiamo la nostra storia, costruiamo la nostra rete e la nostra realtà, riflettiamo sui nostri valori, mutando e ricreandoci ogni giorno, sempre arricchendo la nostra collettività.