di Mattia Macchiavelli
È con commozione e onore che chiudo la parte del percorso partecipato di Metro-Polis, quella dedicata alla restituzione degli ultimi 6 anni passati insieme. Abbiamo scelto, come consiglio direttivo, di far adottare a ciascuna consigliera una parola, un termine capace di farsi filo rosso da seguire per percorrere il labirinto della nostra associazione.
Valentina ha scelto la parola finestra come sinonimo di curiosità, perché «Metro-Polis, cerca cose belle e interessanti attorno a sé e le prepara, le mette a punto perché siano e diventino di tutti. Guardare dalla finestra è una scelta, è decidere di scoprire e mettersi in gioco ogni volta».
Il ponte è una delle due metafore portanti della nostra associazione, insieme a quella della rete: Metro-Polis vuole, infatti, essere ponte di relazioni tra persone diverse e snodo tra i nodi di una rete con realtà diverse ma affini. «Noi, soci e amici dell’associazione Metro-Polis», scrive Patrizia, «ci siamo sempre mossi nella direzione di creare ponti – ponti di solidarietà verso persone in difficoltà e in situazioni di disagio, ponti tra pensieri e idee diverse, e nel creare anche qui, tra di noi un’atmosfera di amicizia, unione, e collaborazione [..,] Ponti, mai muri».
Secondo Beatrice la bicicletta è un oggetto che ci ha guidato, letteralmente, nella storia di Metro-Polis. Dalla bicicletta della partigiana Zelinda Resca a quella messa in palio durante la lotteria della nostra festa di tesseramento, alla bicicletta protagonista dell’Aperitivo a tema dedicato alla mobilità sostenibile. «Ecco, pensare alla bicicletta è per me», ricorda Beatrice, «un modo di ripercorrere la storia di Metro-Polis, attraverso tappe che ritengo significative, ed è anche un modo per ritrovare riassunti, in un oggetto estremamente concreto, buona parte dei valori che fondano e guidano il nostro percorso associativo: divertimento, impegno, condivisione».
Simone, con “sorriso”, ha scelto una parola capace di restituire l’ambiente gioviale e l’accoglienza che contraddistinguono Metro-Polis. Una parola che, in maniera diretta e potente, ci proietta direttamente alle radici del nostro motto: «Il divertimento è una cosa seria».
Queste sono tutte parole che identificano il nostro desiderio di comunità e la nostra volontà di creare dei luoghi di incontro in cui essere e fare cultura. Per Rosalba sono i termini che meglio restituiscono la nostra prospettiva civica, sottolineando, al contempo, come la nostra sia una storia aperta, perennemente aperta.
La parola “libro” è stata scelta da Francesco perché «Metro-Polis, dopotutto, ha fin dalla nascita un rapporto particolare con i libri e la letteratura e le storie che essi contengono»; basti pensare ai Cinque titoli in dote, al mercatino dell’usato Le buone cose di pessimo gusto o alla Biblioteca di Babele, il club del libro attivato nel 2019. Tutti mattoncini che vanno costruendo la grande narrazione di Metro-Polis.
I numeri sono stati utilizzati da Laura come una mappa attraverso cui orientarsi in Metro-Polis: 6 come gli anni che abbiamo compiuto, ad esempio; 60 come gli Apertivi a tema realizzati fino ad ora; 5575 gli euro donati grazie alle varie edizioni della Cena di Caterina; 571 gli articoli pubblicati sul nostro blog. Poi due numeri particolarmente significativi: il 30 e il 70; 30 come le socie tesserate nel 2013, 70 come le socie iscritte nel 2019. Numeri non scontati, specie per un’associazione come la nostra, che danno la misura della passione e della cura per Metro-Polis e per chi ne fa parte.
CIBO
Caterina ha voluto restituire uno dei grandi protagonisti del nostro stare insieme, il cibo, per noi sinonimo di convivialità ed elemento strutturale del nostro fare cultura. Non da meno, in Metro-Polis il cibo è veicolo del dono, quando declinato nelle Cene di Caterina.
Io ho scelto la parola RAMPICANTE, come pianta rampicante. Un termine capace di descrivere il passato di Metro-Polis, quell’essere un semino piantato con passione e con una sana dose di follia; un seme che non era scontato germogliasse ma che è stato annaffiato con dedizione. È un vocabolo in grado di rappresentare anche il presente della nostra associazione, così ben restituito dalla parole scelte da chi mi ha preceduto. Da quel seme è nata una pianta rigogliosa che ha gemmato in diverse direzioni, in una pluralità di iniziative e proposte culturali.
A dire il vero, la parola “rampicante” l’ho rubata a Francesco, durante la riunione del consiglio direttivo in cui stavamo discutendo proprio di questo percorso. Dopo il furto ho chiesto di poterla restituire alle socie e ai soci per ultimo, perché volevo che suonasse anche come un augurio a tutta l’associazione. “Rampicante”, infatti, è anche per il futuro di Metro-Polis: un termine che possa descriverla non solo nel suo oggi ma soprattutto nel suo domani.
Metro-Polis potrà e dovrà essere rampicante. L’auspicio è che questa immagine diventi una grande allegoria del nostro modello culturale, quello degli Apertivi a tema e delle altre attività che facciamo che, come abbiamo visto, tengono insieme leggerezza e spessore, divertimento e profondità. Un modello per chi conosce solo i bianchi e i neri e per chi non ha mai potuto godere del piacere delle sfumature.
Metro-Polis potrà e dovrà essere rampicante nella misura in cui potrà farsi carico del nostro modello organizzativo, testimoniando fuori di noi la possibilità reale dell’orizzontalità e della cultura partecipata, fatta dal basso in un modo così concreto.
L’augurio che voglio fare a tutte e tutti noi è che Metro-Polis possa, nei prossimi anni, proprio come una pianta rampicante, quasi infestante, insinuarsi nelle pieghe e nelle crepe di questo mondo un po’ così, rompendo le logiche dell’imbruttimento che ci vorrebbero sempre di più persone sole e rancorose. Un po’ come se fossimo degli agenti segreti, pronti a infiltrarci nei tanti mondi che abitiamo per portare in questi un pezzetto di Metro-Polis, ma anche per sottrarre un pezzetto di questi mondi per portarli dentro di noi.
Voglio concludere questo percorso con due citazioni che ci sono molto care, che molto dicono di noi e che tanto hanno ancora da dire. Entrambe tratte dalle Città invisibili di Italo Calvino.
La prima è e deve essere la cartina tornasole del nostro agire civico e politico e, curiosamente, contiene molte delle parole che abbiamo scelto per narrare Metro-Polis:
«Anziché dirti di Berenice, città ingiusta, che incorona con triglifi abachi metope gli ingranaggi dei suoi macchinari tritacarne […], dovrei parlarti della Berenice nascosta, la città dei giusti, armeggianti con materiali di fortuna nell’ombra di retrobotteghe e sottoscale, allacciando una rete di fili e tubi e carrucole e stantuffi e contrappesi che s’infiltra come una pianta rampicante tra le grandi ruote dentate (quando queste s’incepperanno, un ticchettio sommesso avvertirà che un nuovo esatto meccanismo governa la città); anziché rappresentarti le vasche profumate delle terme sdraiati sul cui bordo gli ingiusti di Berenice intessono con rotonda eloquenza i loro intrighi e osservano con occhio proprietario le rotonde carni delle odalische che si bagnano, dovrei dirti come i giusti, sempre guardinghi per sottrarsi alle spiate dei sicofanti e alle retate dei giannizzeri, si riconoscano dal modo di parlare, specialmente dalla pronuncia delle virgole e delle parentesi; dai costumi che serbano austeri e innocenti eludendo gli stati d’animo complicati e ombrosi; dalla cucina sobria ma saporita, che rievoca un’antica età dell’oro: minestrone di riso e sedano, fave bollite, fiori di zucchino fritti.
Da questi dati è possibile dedurre un’immagine della Berenice futura, che ti avvicinerà alla conoscenza del vero più d’ogni notizia sulla città quale oggi si mostra. Sempre che tu tenga conto di ciò che sto per dirti: nel seme della città dei giusti sta nascosta a sua volta una semenza maligna; la certezza e l’orgoglio d’essere nel giusto – e d’esserlo più di tanti altri che si dicono giusti più del giusto – fermentano in rancori rivalità ripicchi, e il naturale desiderio di rivalsa sugli ingiusti si tinge della smania d’essere al loro posto a far lo stesso di loro. Un’altra città ingiusta, pur sempre diversa dalla prima, sta dunque scavando il suo spazio dentro il doppio involucro delle Berenici ingiusta e giusta.
Detto questo, se non voglio che il tuo sguardo colga un’immagine deformata, devo attrarre la tua attenzione su una qualità intrinseca di questa città ingiusta che germoglia in segreto nella segreta città giusta: ed è il possibile risveglio – come un concitato aprirsi di finestre – d’un latente amore per il giusto, non ancora sottoposto a regole, capace di ricomporre una città più giusta ancora di quanto non fosse prima di diventare recipiente dell’ingiustizia. Ma se si scruta ancora nell’interno di questo nuovo germe del giusto vi si scopre una macchiolina che si dilata come la crescente inclinazione a imporre ciò che è giusto attraverso ciò che è ingiusto, e forse è il germe d’un’immensa metropoli…
Dal mio discorso avrai tratto la conclusione che la vera Berenice è una successione nel tempo di città diverse, alternativamente giuste e ingiuste. Ma la cosa di cui volevo avvertirti è un’altra: che tutte le Berenici future sono già presenti in questo istante, avvolte l’una dentro l’altra, strette pigiate indistricabili».
La seconda, invece, restituisce pienamente il senso di ciò che siamo e di ciò che facciamo:
«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».