di Mattia Macchiavelli
BOLOGNA, 25/04/2020
DIARIO DI BORDO N°14
La prima cosa che ho visto, aprendo gli occhi questa mattina, è stato il video degli Oblivion dal titolo Quando c’era lui, impregnato dell’ironia potente che contraddistingue la proposta artistica di uno dei gruppi più geniali di sempre. E, subito dopo, un messaggio di Patrizia, che conteneva le parole potenti di Elvio Fassone: «“Oh bella, ciao!” Noi diciamo “ciao” a tutti quelli che credono e hanno creduto in qualche cosa di grande, e per questa cosa sono stati disposti al sacrificio. Diciamo “ciao” ai pochi che sono ancora fra noi, e ai tanti che ci hanno lasciati. Tutti seppero scegliere da quale parte stare, ed era la parte giusta. Essi sono stati la levatrice della nostra nascita civile, la ragione del nostro vivere insieme, la bussola morale per i nostri smarrimenti. Liberazione è stata una pagina speciale, perché per la prima volta ci ha costituiti cittadini, da sudditi quali siamo sempre stati. Per questo il vuoto lasciato da quelli che non ci sono più ci pesa molto. Non ascolteremo più nelle scuole o nelle piazze le parole di quegli uomini e quelle donne carichi d’anni ma dispensatori di forza, talora poveri di cultura ma ricchi di generosità, con la mente illuminata da una luce che suppliva le forze, perché chi è stato grande per un giorno rimane grande per sempre. Ci mancheranno quei fazzoletti tricolori annodati intorno alle spalle ricurve, quegli sguardi un po’ fieri e un po’ malinconici, che sembravano sempre domandare se fosse davvero questa l’Italia per la quale si erano battuti. Diciamo “ciao” e promettiamo che siamo disposti a tornare sulle loro montagne, con il loro spirito».
Liberazione per me è Metro-Polis, con la sua festa unica, in cui passato, presente e futuro si incrociano e si danno senso l’uno con l’altro. Liberazione per me è la commemorazione ai giardini di Villa Cassarini, dove, in terra, ci sta un grande triangolo rosa, voluto da Franco Grillini e realizzato dal collettivo R.O.S.P.O. di Milano, su un progetto dell’artista Corrado Levi. Due poli che mi definiscono, profondamente, e che sono capaci non solo di tenere alto il più nobile esercizio della memoria ma, anche, di declinare la Resistenza nel presente e di innestarla nella dimensione che le è più propria, quella del futuro. La liberazione dai nazifascismi non è un evento scolpito nell’austerità dei fossili ma è un’azione che noi abbiamo avuto la fortuna di ereditare e che, per imitazione, abbiamo il dovere di continuare a esercitare. Per imitazione ma anche con creatività, perché le forze oscure dei razzismi trovano sempre nuove vie per esercitare le loro oppressioni. Quest’anno, in questo 25 aprile necessariamente domestico, le parole della mia Liberazione sono state quelle di Patrizia e Milena, scritte sul blog di Metro-Polis; sono state quelle di Elisa, sulla Falla; sono state quelle di Giulia per la pagina del Cassero: «frocie sempre fasciste mai». Parole di donne. E mi sembra significativo perché, in questo 2020, l’alfabeto resistente non può che essere un alfabeto di donna. Non possono che essere le lettere delle oppresse, di ogni genere, orientamento e colore, le oppresse di tutte le latitudini e di tutte le longitudini, a dare il senso antico ma nuovo di questa attuale Resistenza.
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