di Francesco Errani
Questo articolo, donatoci da Francesco Errani, è stato originariamente pubblicato sul sito di Pandora Rivista in data 27 gennaio 2023 col titolo 2023 Anno europeo delle competenze. Ospitiamo il contributo sul nostro blog col consenso dell’autore e del direttore di Pandora Rivista. Rispetto all’articolo pubblicato su Pandora Rivista l’autore ha apportato piccole modifiche al fine di aggiornarlo al 9 maggio 2023.
Il 9 maggio è la Giornata dell’Europa, per ricordare la Dichiarazione di Schuman del 1950 e riaffermare i valori di pace e democrazia. È la giornata di tutti i cittadini europei e coinvolge tutti i 27 Paesi membri dell’Unione europea.

Il 2023 sarà l’Anno europeo delle competenze.
Ogni anno l’Unione europea sceglie una tematica, in linea con le priorità individuate come necessarie alla comunità dei paesi membri, con la finalità di richiamarne la riflessione e promuoverne la collaborazione. Il tema dell’anno viene poi fatto proprio dal Parlamento e dagli Stati membri.
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La mia esperienza a Londra copre quasi metà della mia vita, infatti sono venuta qui per la prima volta quando avevo 16 anni e ora ne ho la bellezza di 30.
5 giugno 1947. George Marshall, segretario di Stato, annuncia la decisione degli Stati Uniti d’America di creare un ponte di aiuti umanitari e finanziari per supportare la ripresa dell’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale.
Poi arriva il senso d’impotenza
Partire non è mai facile. Lasciare la propria casa, le persone che si conoscono da sempre e i luoghi in cui si è cresciuti, è un gesto coraggioso. Ma nella vita bisogna avere coraggio, bisogna essere capaci di correre dei rischi altrimenti non ci sarebbero storie incredibili da raccontare e bellissimi libri di avventure da leggere. Quando poi si decide di essere abbastanza coraggiosi per partire è altrettanto necessario ritrovarsi capaci di stupore. Lasciarsi sorprendere, stupirsi, perché solo in questo modo si è in grado di imparare qualcosa di più dal luogo in cui si è ospiti. Non si può sapere tutto, c’è sempre un margine d’imprevedibilità che è comunque bene mettere in conto. Allo stesso modo è fondamentale lasciare da parte quell’inevitabile etnocentrismo che noi occidentali ci portiamo sempre dietro come la nostra ombra. 

Questi primi giorni dopo il mio arrivo si sono susseguiti in maniera lineare e senza troppi sconvolgimenti, la mattina preparo le lezioni e al pomeriggio tengo due corsi d’inglese. Dalle 13 alle 16 seguo bambini dagli 8 agli 11 anni e provo ad insegnargli un inglese basilare, per ora abbiamo fatto l’alfabeto, i numeri e qualche frase semplice come “what’s your name?”, “How old are you?” e così via. Con loro faccio particolarmente fatica dal momento che il mio arabo si limita a “grazie” e “ciao”. Cerco di lavorare principalmente con immagini. Dalle 16 alle 18 invece, provo a fare conversazione e inglese “avanzato” con ragazzini di età compresa fra i 12 e i 14 anni. Saif, 14 anni, spicca immediatamente rispetto agli altri. Non parla benissimo l’inglese ma capisce molto meglio di qualunque altro suo compagno. Mi ha dato l’idea di essere uno di quei ragazzi che in generale s’impegna molto a prescindere da ciò che fa. Quando finiamo le lezioni di gruppo resta sempre un po’ più degli altri e mi chiede di raccontargli della mia città, della mia vita in Italia e di quello che vorrei fare “da grande”. 